Due bambine litigano per prendere l’unica arancia rimasta nel cesto della frutta.
La prima afferma: “l’arancia spetta a me perché sono la più grande!”
l’altra afferma: “No! spetta a me perché io l’ho presa per prima!”.
La madre interviene, cercando di porre fine alla lite, proponendo di tagliare l’arancia in due parti perfettamente uguali e di darne metà a ciascuna bambina.
Le due bambine però non rimangono soddisfatte della decisione della madre e continuano a litigare in quanto ognuna di loro vuole tutta l’arancia e non vuole cederne neanche un pezzo all’altra.
Interviene la nonna, che dopo aver osservato attentamente la scena, domanda a ciascuna bambina il motivo reale dell’interesse a voler l’arancia intera. La prima bambina risponde di aver sete e di voler spremere l’arancia per berne il succo, l’altra risponde che vuole grattugiarne la buccia per fare una torta.
La nonna senza indugio spreme la polpa perché la più piccola ne possa bere il succo e grattugia la buccia dell’arancia affinché l’altra possa usarla per fare la torta.
In questo modo la nonna ha soddisfatto entrambe le bambine e finalmente torna la pace.
Nella storia ci sono sempre stati tentativi di risoluzione pacifica delle controversie come alternativa alle dispute e alle lotte basate sul potere.
Si tende a far risalire l’origine del movimento di ricerca di soluzioni alternative delle controversie ( Alternative Dispute Resolution – ADR) – basato sul principio “win-win” e opposto alla logica “win lose” – al periodo delle tensioni sociali scoppiate negli anni ’60.
In realtà, ci sono tracce di una storia ben più antica che raccontano di negoziazione, arbitrati e mediazione.
É possibile individuare il precursore della mediazione nella cultura della Grecia antica e in particolare, in quella corrente filosofica mirante a far riflettere le persone sulle loro relazioni con sé stessi e gli con altri.
La maieutica, appunto, forniva gli strumenti per questa ricerca: il filosofo accompagnava il soggetto a riflettere ed esprimere il meglio di sé, portandolo a esternare le proprie conoscenze.
Attraverso il controllo delle passioni, la persona si allenava a sviluppare la propria capacità di prendere posizione e compiere scelte, giungendo così all’autodeterminazione e a un personale passaggio all’atto.
É in quest’epoca, che possiamo identificare come anticipatrice della mediazione (in quanto non concettualizzata come tale), che l’intervento di terze persone per far emergere la responsabilità individuale e l’impegno libero da passioni, soprattutto nelle situazioni conflittuali, inizia a formalizzarsi.
Nel tempo, la natura della legittimità di un terzo e i mezzi messi in opera per ricreare il legame sociale si sono trasformati.
I codici deontologici, che oggi regolano le pratiche, hanno sostituito le morali sociali, le prescrizioni religiose e i costumi locali, affermando così il carattere egualitario, laico e universale della mediazione.
La concezione della mediazione come disciplina a sé appare alla fine del XX secolo.
Rafforzando la libertà contrattuale, la mediazione apporta ai membri di un conflitto i mezzi per risolvere una situazione problematica, sollecitando la capacità di riflettere e individuare la migliore delle soluzioni possibili per trovare un terreno d’intesa. Per tale motivo, la mediazione si concentra anche sulla qualità della comunicazione, tanto nella relazione presente quanto nell’anticipazione di una relazione futura.
Le prime teorizzazioni sul concetto e sulla pratica della mediazione, così come la conosciamo oggi, sono apparse nel XX secolo e benché sempre più numerose e diverse tra loro, tutte convergono sull’importanza di rafforzare il potenziale di presa di decisione di ognuno.
Oggi la mediazione costituisce una pratica che si applica a un gran numero di contesti differenti (famiglia, scuola, società…), con metodologie specifiche per ogni settore.
Nonostante questa pluralità di ambiti e di tecniche, l’oggetto di questa disciplina è unico: la gestione della conflittualità attraverso l’opera di una terza persona neutrale e imparziale.
In mediazione il conflitto è inteso come un’opportunità per trasformare una esperienza che non necessariamente è da considerarsi negativa. Tale impostazione professionale rappresenta un profondo cambiamento del paradigma delle professioni legate all’intervento sulla crisi e il conflitto familiare e richiede una posizione teoretica ben precisa: il passaggio dal conflitto al consenso.