Quando ero un’avvocata alle prime armi, pensavo, come molti purtroppo, che il diritto di famiglia fosse un diritto “minore”, rispetto al Diritto con la “D” maiuscola. In fondo, si trattava di una manciata di articoli e di alcuni procedimenti speciali di collocazione incerta all’interno del codice di procedura, pensavo.
Quindi, mi sono dedicata ad altro. Quando mi capitava di imbattermi, mio malgrado, in questioni di famiglia, le liquidavo dicendo “non fa per me”, ben sapendo però che il problema non fosse una sorta di hybris giuridica, ma il fastidio che provavo nel trattare con emozioni e sentimenti, di dover tenere in conto persone che non avevo mai visto come i figli, i nonni e gli altri parenti, i nuovi partner, di dover temperare la foga ingiustificata di certi colleghi, e così via.
Inoltre, occuparmi di diritto di famiglia, mi lasciava addosso qualcosa di spiacevole, che non se ne andava nemmeno una volta uscita, la sera, dalla porta del mio studio.
Questo mi disturbava parecchio! Già, come moltissimi colleghi, soffrivo di un sogno ricorrente che consisteva nel vagheggiare notte tempo, di una tal memoria del tal cliente che era in scadenza o che era già scaduta e che io non avevo depositato, salvo poi vederla sparire, con tutti gli innumerevoli dettagli vividi del sogno, al mio risveglio. Ci mancava solo che mi portassi a casa i problemi degli altri!
Poi, un bel giorno, qualcosa è cambiato, Meglio detto: io sono cambiata. Ho fatto ordine nella mia vita. Ho fatto pace con le mie emozioni e con le mie debolezze e ho cercato di diventarne sempre più consapevole. Così, ho scoperto molte cose interessanti.
Il diritto di famiglia, per la sua natura personale e pervasiva – ognuno di noi volente o nolente ha avuto una famiglia, ci riguarda molto da vicino. Così intimamente, che ci sono dei temi, delle questioni, delle circostanze che ci agganciano.
Gli “agganci emotivi” li abbiamo tutti e sono diversi per ciascuno. Scatenano delle reazioni, delle sensazioni e delle emozioni automatiche che possono portarci verso atteggiamenti e pensieri che non apprezziamo e dove non riusciamo ad essere al nostro meglio. Si manifestano attraverso le parole che usiamo, talvolta solo con gli sguardi e a chi li indirizziamo, oppure con decisioni, atteggiamenti, percorsi in cui proseguiamo, come pilotati dai nostri agganci, senza avere la piena disponibilità di noi stessi, delle nostre capacità, senza riuscire a vedere le possibilità che si presentano.
E, quel che è peggio, senza neppure accorgercene. Non è possibile eliminare gli “agganci emotivi” che, come è facile comprendere, soprattutto in tema di famiglia, sono sempre in agguato e numerosissimi.
Tuttavia, è possibile individuarli, diventarne consapevoli e farne, attraverso un lavoro paziente, una possibilità di consapevolezza e di crescita.
In questo modo, anche l’avvocato di famiglia, continuando ad essere un buon avvocato, eviterà di “portarsi a casa il lavoro”, di trascinarsi quella pesantezza, il peso sullo stomaco che lasciano certe questioni scabrose o ingiuste. Al contrario, saprà trattarle con professionalità, con empatia, ed allo stesso tempo, senza compromettere la propria integrità ed il proprio benessere.
Certo, non smetteremo di arrabbiarci, di scandalizzarci, di indignarci, di spazientirci. Un buon lavoro sugli agganci emotivi non impedisce la nostra umanità, anzi la accoglie senza giudizio, in modo compassionevole.
Ecco perché è importante conoscerli, soffermarsi a riflettere sul proprio operato e su ciò che ha fatto risuonare dentro di noi, per essere bravi avvocati, belle persone e, soprattutto, per stare bene.
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