Prendersi cura delle relazioni in famiglia, aiutare le coppie a immaginare un futuro diverso dopo la separazione, è il compito dei mediatori familiari. Nel modello di mediazione ESBI, elaborato e diffuso dalla Dott.ssa Isabella Buzzi, i mediatori familiari si occupano dei bambini solo indirettamente.
Il mediatore familiare non incontra mai i figli, eppure li mette al centro della riorganizzazione familiare e fa in modo che i genitori capiscano l’importanza di offrire un ambiente sicuro e amorevole, anche durante e dopo la separazione.
È importante che i mediatori familiari si dotino di strumenti per leggere anche la realtà della violenza assistita e per riuscire a vedere un fenomeno che è tanto nascosto, quanto diffuso, senza stereotipi né moralismi, ma guardando a ciò che è e aiutando a costruire una cultura del rispetto e delle buone relazioni familiari che è l’unica cosa che può fare la differenza.
Il termine “violenza assistita” è stato tradotto dall’inglese “witnessing violence” e rappresenta la metà invisibile della violenza intradomestica. Il tema dei bambini, delle bambine e dei ragazzi che sono testimoni in famiglia delle violenze subite da un altro membro del nucleo familiare è sottovalutato, misconosciuto. Tuttavia, rappresenta un fenomeno drammaticamente importante, sebbene un sottotraccia.
Purtroppo, da un lato manca ancora la consapevolezza diffusa che assistere alla violenza perpetrata su un altro o anche solo percepirne gli effetti costituisca di per sé una violenza. Dall’altro lato, in Italia, viviamo in un contesto culturale e sociale nel quale si tende a difendere la famiglia come luogo privato e per definizione positivo e si avallano degli stereotipi che rendono difficile l’emersione di questo tipo di violenza.
La consapevolezza rispetto alla violenza assistita è spesso carente nelle stesse vittime che subiscono la violenza primaria, cioè la violenza fisica, psicologica o economica. A molti sarà purtroppo capitato di sentire un genitore che ha subito dei maltrattamenti riferirsi all’altro genitore come un buon genitore.
“Picchia me, ma con i figli è un genitore meraviglioso.”
Purtroppo, non è così!
Il rispetto che i genitori si riconoscono l’un l’altro, indipendentemente dal conflitto che stanno vivendo, è un elemento indispensabile e fondamentale per costruire un ambiente sicuro e amorevole per i figli. Il fatto che un genitore picchi, svaluti o costringa l’altro a condizioni di vita insostenibili, pregiudica i figli che percepiscono la violenza o, addirittura, ne sono testimoni diretti.
Dalle linee guida pubblicate dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) del 23 giugno 2017, leggiamo che:
Su 100.000 minorenni maltrattati in carico ai servizi sociali, il 19% dei bambini delle bambine e dei ragazzi sono vittime di violenza assistita. Questo significa che è un bambino su cinque fra quelli seguiti per il maltrattamento è testimone di violenza domestica intrafamiliare, in particolare sulle madri.
Ma il fenomeno è sicuramente sottostimato e i numeri sono sicuramente più alti.
Come dicono sempre le linee guida del CISMAI, vi sono delle resistenze culturali connesse al riconoscimento della violenza domestica e alla violenza di genere che sono alla base del maltrattamento sui figli e quindi anche della violenza assistita.
Una di queste resistenze culturali che vale la pena di sottolineare è la non corretta differenziazione tra conflittualità e maltrattamenti nella coppia.
Ecco perché è importante per i mediatori familiari dotarsi di strumenti che consentano di leggere la realtà, tenendo presente anche la posizione dei figli in un contesto familiare dove c’è violenza.
Nei casi di violenza intradomestica, la mediazione non è possibile. Lo dice la Convenzione di Istanbul e lo impone la necessità di evitare la vittimizzazione secondaria delle vittime di violenza.
Ma noi, come mediatori familiari, siamo sicuri di saper distinguere tra conflitto, anche acceso, e violenza?