Skip to main content

Il significato dell’Accoglienza

Come counselor e come mediatori familiari, così come in tutte le relazioni d’aiuto, ci troviamo spesso a lavorare in contesti di dolore e sofferenza, in cui le persone che arrivano a noi attraversano un momento di profonda fragilità, di paura, di mancanza di fiducia nel futuro, spesso in sé stessi e negli altri.

Ci troviamo quindi molto spesso di fronte a un’umanità indebolita, che si rivolge a noi chiedendoci aiuto per superare quel momento, quel problema, quella particolare situazione.

Questo, a mio parere, ci obbliga a fare i conti, come professionisti, con una domanda profonda sulla vera natura del nostro lavoro. Di fronte alla sofferenza, al disagio, al dolore, alla difficoltà dell’altro, cosa sono chiamato/a a fare?

Il grande rischio, nel nostro lavoro, consiste esattamente nella confusione sul nostro ruolo. Quando infatti io credo che il mio ruolo consista nel “salvare” la persona dal suo problema, o, più semplicemente, nel risolvere il suo problema, questo genera in me (e nel mio cliente) una profonda frustrazione, nel momento in cui io mi accorgo che non risolvo mai il problema dell’altro.

Il senso di impotenza di fronte al dolore e alla sofferenza dell’altro credo infatti sia una delle sensazioni che più spesso proviamo nel nostro lavoro.

L’unica cosa che sono chiamata davvero a fare, di fronte al dolore dell’altro, è accoglierlo. O meglio accogliere l’atro così come è, così come arriva nel mio studio. Con le sue paure, i suoi sbagli, le sue fragilità, la sua rabbia, la sua tristezza, la sua mancanza di fiducia, il suo desiderio di essere aiutato, il suo desiderio che qualcuno risolva il suo problema al posto suo.

Accogliere l’altro significa accettare di accompagnare quella persona in quel preciso momento, fare un pezzo di strada insieme a lei, perché lei possa trovare la forza e gli strumenti per affrontare quella difficoltà.

Accogliere l’altro così come è significa anche non volere che l’altro sia diverso da come è in
quel momento, ma sapere che va bene così, con tutti i suoi limiti … La fiducia sono io a doverla mettere. Fiducia nel sapere quella persona è molto più dei problemi che ha in quel momento, è molto più dei limiti che sperimenta, è molto meglio di come appare in quel momento di fragilità, ha molte risorse in più di quelle che lei stessa riesce a vedere.

Quando incontro persone nel mio studio cerco sempre di tenere ben presente questa verità: quando loro usciranno dalla mia stanza avranno ancora il problema per il quale sono venuti e saranno loro a doverci fare davvero i conti.

Questo è il significato di quello che studiamo.

“Noi ci facciamo carico della persona e non del suo problema”.

Noi (mediatori, counselor) non risolviamo mai i problemi degli altri, ma possiamo stare con loro perché loro scoprano nuove possibilità, nuove modalità di affrontare i problemi … e che queste nuove modalità siano le loro, non le nostre. Non si basino cioè su quello che noi riteniamo debba essere meglio per loro, ma su quello che loro scoprono, insieme a noi, su sé stessi.

Questo il senso dell’accoglienza: accogliere il limite ed esaltare le risorse.

E alla base di tutto c’è e ci deve essere sempre un’incrollabile fiducia nell’essere umano, nelle sue infinite possibilità di crescita e di riscatto, di migliorare la propria vita secondo le proprie scelte e inclinazioni.

HAI TROVATO QUESTO ARTICOLO INTERESSANTE? CONDIVIDILO