Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alla parola “conflitto”, tendenzialmente, ci vengono in mente tutte immagini con un’accezione negativa: guerre, litigi, contrapposizioni di forze… in genere un grande spreco di energia, qualcosa che ci toglie la forza e la pace interiore.
Raramente, infatti, riusciamo a vedere il conflitto come un’opportunità, qualcosa di costruttivo, fondamentale in qualsiasi processo di crescita e di cambiamento.
Questo perché in genere conosciamo solo tre modalità di porci in relazione al conflitto:
- L’evitamento: fingere che il conflitto non esista, chiudere gli occhi e fingere che vada tutto bene. In questo modo il conflitto non scompare, ma resta latente (e potenzialmente esplosivo).
- La guerra: porterà, come risultato, alla vittoria di uno e alla sconfitta dell’altro, con grande sofferenza e spreco di energie.
- La negoziazione: in questo modo si raggiungerà un accordo, ma ogni parte dovrà rinunciare a qualcosa.
Quello che hanno in comune queste tre modalità è che il risultato finale è sempre una sensazione di insoddisfazione, parziale o totale e, soprattutto, in ognuno di questi tre casi, la relazione tra le parti ne risulta fortemente danneggiata, perché resta comunque un gusto amaro in bocca.
In verità esiste un’altra alternativa: quella della cooperazione.
Con la cooperazione entrambi vincono, non esiste mai un vincitore e un vinto, ma entrambi ottengono la piena soddisfazione dei loro bisogni, ma, perché questo avvenga, è necessario trovare un interesse comune: quando il mio obiettivo è lo stesso tuo, se vinci tu, vinco anche io.
Questa è la finalità ultima della mediazione di conflitti (e della mediazione familiare), quella cioè di aiutare le parti a trovare un interesse comune e scoprire nuove forme di collaborazione perché tutti possano uscirne vincitori, salvando in questo modo le relazioni: in fondo a cosa serve vincere una competizione se il risultato è la distruzione della relazione?
Per fare ciò è necessario in primo luogo lavorare sulla comunicazione: una comunicazione efficace evita molte guerre! Sappiamo che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto (l’informazione) ed uno di relazione (il modo soggettivo in cui io interpreto un’informazione), ma quello che spesso dimentichiamo è che il 98% dei conflitti sono legati alla relazione e non al contenuto!
Io posso credere che il nostro conflitto sia legato ad una questione specifica, sulla quale abbiamo due posizioni diverse, ma in realtà questa è solo la punta dell’iceberg: quello che ci sta sotto, la parte più grande dell’iceberg, sono i nostri valori, le nostre credenze, i nostri bisogni, le nostre storie di vita, le nostre emozioni, la nostra lettura della realtà: in una parola chi siamo noi.
Per questo motivo l’unica forma possibile per affrontare in modo costruttivo un conflitto, è immergersi nella profondità dell’essere umano, comprendere, ascoltare, conoscere, con rispetto e accettazione, senza giudizi, la base dell’iceberg.
Favorire la comprensione dei bisogni, delle emozioni, esplicitare le strategie che le persone mettono in atto per affrontare quel conflitto, fino a far emergere l’interesse comune, a partire dal quale possiamo costruire una nuova relazione, stabile e duratura.
Allora il conflitto può iniziare ad essere visto come qualcosa di positivo, una vera opportunità per conoscere se stessi e l’altro; un invito a trasformare le relazioni, una danza, una co-creazione e una corresponsabilità collaborativa, in cui ognuno, con i propri mezzi e le proprie capacità, costruisce un pezzo di quel ponte che è fondamentale per raggiungere l’obiettivo comune.
Su questa comprensione si basa il metodo ESBI (Emozioni, Strategie, Bisogni, Interesse comune), sviluppato in Italia dalla Dottoressa Buzzi (dello Studio TdL di Milano).