Un falso mito, spesso accostato all’idea di resilienza, è pensare a specie di “Super Persone” immuni al dolore e alla sofferenza, con il risultato di creare una pericolosa distinzione in persone di serie A: resilienti, e di serie B: senza risorse. In realtà, si confonde un funzionamento competente con funzionamenti meno adattivi, ma non per questo irrecuperabili.
Quando si parla di resilienza, non ci si riferisce solo alla semplice capacità di sopravvivere a fatti critici. Si parla di capacità di ripresa, della capacità di uscire dalla crisi più forti, con più risorse, di nuovo in controllo della propria esistenza.
Il vero concetto di resilienza, si rifà all’idea che non si nasce resilienti e invulnerabili ma che è proprio grazie alle difficoltà e alla sofferenza che si diventa resilienti. In altre parole, la sofferenza e la conseguente elaborazione del dolore sono aspetti essenziali per poter trovare la resilienza in noi.
Si parla infatti di “resilienza plasmata attraverso le difficoltà, non malgrado le difficoltà”.
Questi stessi concetti, riferiti solitamente alla singola persona, possono essere applicati alla famiglia. La letteratura specialistica nel settore dimostra, infatti, che il modo in cui una famiglia, intesa come una unità a sé stante composta dalla somma famigliari e parenti, affronta e gestisce un’esperienza perturbante, contenendo lo stress che ne deriva, riorganizzandosi adeguatamente, influenza positivamente tutti i membri che ne fanno parte nel lungo periodo, garantendo la reale sopravvivenza e il benessere dell’intero nucleo familiare. La famiglia dimostra resilienza proseguendo la sua vita.
Parlando di eventi critici, come accennato, occorre pensare non solo a catastrofi naturali o alle situazioni più gravi, perché anche il divorzio, ad esempio, rappresenta un evento in grado di mettere in crisi l’equilibrio familiare. In quest’ottica, ogni persona deve essere considerata sia come singolo, sia come parte del nucleo familiare, il quale affronta un importante cambiamento che impone la costruzione di una nuova identità, riconosciuta e condivisa da tutti i membri.
La mediazione dei conflitti orientata alla resilienza familiare, riconosce alla famiglia il suo potenziale evolutivo e riparativo. Questo potenziale diventa “la cornice” del metodo con cui un mediatore interviene nell’accompagnare la famiglia in crisi. Operando per riattivare il canale comunicativo e rinforzare le risorse positive latenti dei famigliari, costruisce un circolo virtuoso dalle fondamenta, offrendo la prospettiva di potersi autogestire nelle difficoltà future.
In questo modo, ogni famiglia viene accolta nel suo dolore, affronta il suo conflitto e supera le sue difficoltà pro-positivamente. Questo processo, nell’esempio della separazione dei genitori, può restituire ai genitori e ai figli, soprattutto, una nuova identità di famiglia, che continuerà ad esistere anche se in forma diversa. Il professionista si mette a disposizione della famiglia, ne segue i ritmi e i bisogni, non impone e non giudica, ma affianca e sostiene. Il risultato, l’accordo di riorganizzazione funzionale alle esigenze di adulti e bambini, proprio perché raggiunto personalmente dai genitori, sviluppa la resilienza familiare.
La resilienza familiare è, quindi, l’approccio teorico con cui si vanno ad identificare e rinforzare quei processi interattivi determinanti che consentono alle famiglie di resistere e reagire costruttivamente di fronte ad eventi critici potenzialmente disgreganti.
Il punto di osservazione si sposta, di conseguenza, da una visione centrata sul danno, ad una centrata sul riconoscimento del potenziale evolutivo e di recupero presente nella famiglia.
Per approfondimenti sugli studi sulla resilienza familiare: Froma Walsh del Chicago Center for Family Health