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Ti amo come ho imparato

“L’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”

Per John Bowlby l’essere umano è biologicamente predisposto a sviluppare un legame di attaccamento nei confronti della persona che si prende cura di lui. Tale predisposizione, oltre ad essere geneticamente determinata è anche filogeneticamente trasmessa perché funzionale alla sopravvivenza della specie. La separazione del piccolo dalla propria madre può, infatti, comportare conseguenze fatali.

Bowlby usa il termine “attaccamento emotivo” per descrivere i forti legami affettivi che proviamo per le persone speciali della nostra vita.

Appena nati, i bambini dipendono interamente dagli adulti che li circondano. Inizialmente gli adulti non vengono riconosciuti dal neonato, ciononostante ci piace credere che il neonato abbia sorriso proprio a noi, preso il nostro dito tra le sue manine, si sia rivolto a noi con i suoi versetti adorabili …

Tutto ciò ha per i teorici dell’attaccamento una spiegazione da rintracciare nell’evoluzione della specie, tra quei comportamenti che si sono “selezionati” per assicurare prossimità e contatto con la madre.

Questi comportamenti, o piuttosto riflessi innati, fanno sì che il neonato stabilisca la sua prima relazione con l’adulto.

I neonati di solito iniziano a fissare lo sguardo e a mostrare interesse verso il volto della madre tra le 4 e le 9 settimane di vita. Entro i primi 2-3 mesi iniziano a capire alcune contingenze sociali: scoprono ad esempio che possono emettere e controllare alcuni comportamenti, come succhiarsi i pollici o produrre suoni gradevoli, che in quanto soddisfacenti sono anche meritevoli di ripetizione.

Il bambino utilizza così questi comportamenti, che via via diventano sempre più complessi, per relazionarsi con la figura di attaccamento.

Allo stesso modo, l’adulto è spinto a prendersi cura del neonato.

La tendenza della madre a farsi incantare dal sorriso del figlio, a rimanere accanto a lui, a prenderlo in braccio e a parlargli è infatti anch’essa, secondo Bowlby, pre-programmata.

Si tratta di comportamenti che sono rimasti nel patrimonio genetico della specie-uomo a seguito della selezione naturale, perché più adatti a fornire protezione al piccolo e ad assicurare, tramite la sopravvivenza del bambino, il successo riproduttivo della stessa madre.

Bowlby sottolinea come gli attaccamenti bambino-genitore siano relazioni reciproche che si costituiscono lentamente a partire da queste prime interazioni. Via via si traducono in “routine sincronizzate” dove ogni partecipante adatta il proprio comportamento in base ai sentimenti e agli atteggiamenti che percepisce nell’altro.

Mentre l’adulto e il bambino si esercitano e migliorano le loro “routine”, la loro relazione diventa sempre più soddisfacente, fino a far sbocciare un forte attaccamento reciproco.

John Bowlby ha ipotizzato che attraverso queste interazioni nel bambino si formano delle aspettative/credenze su sé stesso e sul tipo di relazione che può attendersi dall’altro (“Sono meritevole di affetto?” “L’altro è disposto a prendersi cura di me?”).

Un accudimento sensibile e reattivo porterebbe il bambino a concludere che le persone sono affidabili (“modello operativo positivo degli altri”), mentre un accudimento insensibile, trascurato o violento potrebbe portare insicurezza e mancanza di fiducia negli altri (“modello operativo negativo degli altri”).

Allo stesso modo, un bambino che riceve un’adeguata attenzione “crede” di essere degno di amore (“modello operativo positivo di sé”) mentre bambini i cui segnali vengono ignorati possono concludere di non essere degni d’amore, di essere inutili o odiosi (“modello operativo negativo di sé”)

Crescendo, queste aspettative tendono a persistere e, come una forma di “coazione a ripetere” o di “profezia che si autoavvera”, da adulti possono influenzare i tipi di attaccamento tanto con i partner quanto con i propri figli.

In effetti, Bowlby ritiene che una volta formati nella prima infanzia i modelli operativi si stabilizzano diventando un aspetto della personalità che continuerà a influenzare il carattere dei legami intimi di una persona per tutta la vita.

Ciò suggerirebbe che le rappresentazioni cognitive di legami intimi abbiano un aspetto intergenerazionale. Il loro carattere dinamico, tuttavia, fa sì che possano cambiare in base a future esperienze con figure di riferimento importanti (amici intimi, partner o coniugi).

La struttura che assume un legame sentimentale, le distorsioni dell’amore, la scelta stessa del partner sono da ricondurre alle aspettative che ciascuno ha su di sé e sugli altri, al valore che ciascuno di noi attribuisce ai propri bisogni affettivi e alle strategie che mettiamo in atto per raggiungere lo scopo.

Come abbiamo visto, queste aspettative e comportamenti sono influenzati dalle esperienze avute con la figura di attaccamento.

Ciò non vuol dire che si ama il partner come si ama la propria madre, esistono tuttavia delle somiglianze sostanziali tra i due legami. Per esempio, in entrambi i casi ci troviamo di fronte a un comportamento che si è selezionato ed evoluto per permettere la sopravvivenza dell’individuo.

Naturalmente tra i due legami esistono anche notevoli differenze…

… continua 

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