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legami di coppia

Ti amo come ho imparato – seconda parte

“Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead
quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura.

Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami,
pentole di terracotta o macine di pietra.

Ma non fu così.

Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica
era un femore rotto e poi guarito.

 Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori.
Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo.

Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te.
Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.

Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto,
ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi.

Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà
è il punto in cui la civiltà inizia”.

Ira Byock

L’amore che tiene legati gli adulti può essere considerato un vero e proprio processo di attaccamento, analogo a quello che tiene legati bambino e figura significativa. In entrambi i casi vi è tanto un bisogno di protezione, quanto la propensione a prendersi cura dell’altro.

Secondo l’approccio evoluzionistico, per garantire la sopravvivenza dei “cuccioli” umani il solo concepimento non era sufficiente. Era necessario anche un investimento parentale, non solo materno, almeno fino all’autonomia dei piccoli che solitamente si raggiunge intorno ai 12/13 anni.

Serviva dunque un meccanismo capace di tenere insieme due persone, ma la nostra specie ne aveva già uno a disposizione: l’attaccamento.

Il sistema dell’attaccamento fa sì che gli amanti divengano sempre più «attaccati» e in grado di vedere nel partner colui che li proteggerà dai pericoli: percezione che porta a considerare la persona amata capace di garantire la sopravvivenza.

Cosi da adulti, si sviluppano legami significativi che hanno caratteristiche simili alle relazioni di attaccamento infantili, seppur con le dovute differenze.

Il legame adulto-bambino, per esempio, è di tipo complementare (il bambino chiede aiuto e la madre protegge) e i ruoli sono fissi (il contrario denota disfunzionalità e potrebbe sviluppare patologia).

I legami di coppia (adulto-adulto) sono basati sulla reciprocità dei ruoli: ogni compagno deve poter usare l’altro come figura di attaccamento e fonte di sicurezza e, a sua volta, saper fornire sicurezza e conforto all’altro.

Quando l’alternanza di ruoli non si verifica c’è il rischio per la coppia di andare in crisi e non funzionare più (sindrome della Crocerossina)

Le relazioni tra adulti si configurano pertanto sia in termini di attaccamento ma anche di reciproco accudimento; in questo senso si definiscono affiliative. Inoltre, le relazioni adulte sono connotate dal sistema della sessualità.

Un rapporto che non offre conforto e sicurezza, ma è basato solo sull’ attrazione sessuale, tende a configurarsi più come una relazione tra amanti. Allo stesso modo anche l’espressione della sessualità genitale è indispensabile, altrimenti il legame di coppia risulterebbe simile a quello tra parenti o amici (Baldoni 2004).

I figli non si scelgono i partner si …

Sebbene non esista un destino ineluttabile nella formazione dei legami affettivi, dalle ricerche condotte in questo ambito emerge che per lo meno il 75% della popolazione tende a ritrovarsi in legami o a costruire relazioni molto simili a quelle con cui era coinvolto da piccolo con il proprio caregiver.

Come abbiamo già visto nell’articolo precedente, gli scambi affettivi e sociali creano nel piccolo una serie di previsioni (reazioni della figura di attaccamento) e aspettative (come si comporterà lui in caso di difficoltà).

Nel momento in cui in un bambino si verifica l’imprinting filiale, le caratteristiche della figura di attaccamento e le sue modalità allevanti, siano esse adeguate, distorte o carenti, saranno riconosciute dal piccolo come proprie di chi è deputato a prendersi cura di lui.

Le previsioni sulle reazioni della figura di accudimento, vengono poi generalizzate ed estese agli altri, diventando dei veri e propri script: copioni che definiscono le proprie reazioni e prevedono quelle degli altri.

Una volta formatisi i modelli interni cominciano a fare da filtro nell’elaborazione dell’informazione: si vedono solo le cose congruenti con l’opinione che si ha di sé stessi e degli altri.

Succede così che si cerchiamo attivamente e selezioniamo, sia pure a livello inconscio, persone, situazioni e relazioni che corrispondono alle nostre aspettative.

Se ci si aspetta che gli altri non siano disponibili, ci si avvicinerà con un atteggiamento difensivo e ricercando quelli elementi che confermino la nostra idea (profezia che si autoavvera).

In una situazione conflittuale, per esempio, può accadere che tanto più si è bistrattati dal partner, tanto più non si riesce a farne a meno perché è proprio lui/lei ad attivare il nostro schema d’attaccamento che ci fa sentire confortati.

Questo meccanismo diventa addirittura paradossale quando uno dei due è un partner che abusa e/o maltratta.

Anche la fine del matrimonio può essere ricondotta ai diversi modelli mentali di attaccamento.

Le rappresentazioni mentali non sono fisse, ma dinamiche e suscettibili di cambiamento e la consapevolezza del perché si è tanto infelici in una relazione, la conoscenza dei meccanismi che hanno portato a quel tipo di scelta e dei motivi che rendono così difficile romperla possono essere di grande aiuto a recuperare un modo di amare e di essere amati che sia appagante e costruttivo.

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