Nel nuovo titolo IVbis del libro II del Codice di procedura civile, vengono disciplinati i procedimenti per separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civile del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile, nonché per la regolamentazione della responsabilità genitoriale, per la modifica delle condizioni (di separazione o divorzio) e anche i procedimenti per la nullità del matrimonio.
Prima dell’entrata in vigore della riforma, il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, anche in caso di sentenza parziale relativa al solo status, costituiva un presupposto per la domanda di divorzio. La sua mancanza rendeva la domanda di divorzio improponibile.
Con la riforma Cartabia, si cambia passo: viene infatti introdotta con l’art. 473bis 49 la possibilità di cumulo delle domande di separazione e di divorzio
“negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
Il divorzio potrà aver luogo dopo che la separazione, pronunciata nel medesimo giudizio, sia passata in giudicato e che sia trascorso il tempo richiesto dalla L. n. 55/2015, ovvero un anno.
In pratica:
con il ricorso, l’attore presenta sia le conclusioni per la separazione dei coniugi, con sentenza parziale sullo status, sia le conclusioni per il divorzio, atteso il passaggio in giudicato della sentenza di separazione;
nella comparsa di risposta, anche il convenuto può presentare la domanda per la separazione e il successivo divorzio nel medesimo giudizio.
Sempre ai sensi dell’art. 473bis. 49, secondo comma c.p.c.,
“se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’articolo 40 c.p.c. sulla connessione dei giudizi. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473bis. 11, primo comma.”
É molto importante ricordare che con la riforma Cartabia, cambiano le regole di competenza territoriale. Al principio generale di residenza del convenuto, disciplinato dall’art. 18 c.p.c., si affianca un nuovo criterio che prevale in caso debbano essere adottati provvedimenti che riguardano un minore.
In questo caso la competenza è del Tribunale dove il minore ha la residenza abituale (art. 473bis. 11) e
“per non frustrare lo spirito della norma e disincentivare trasferimenti attuativi di forme di “forum shopping”, viene altresì stabilito che, in caso di trasferimento non autorizzato della residenza del minore, permanga la competenza del tribunale del precedente luogo di residenza, qualora il ricorso sia depositato entro l’anno.” (Cfr. Relazione illustrativa al D. 149/22).
Quanto dispone la riforma, in materia di contemporanea proposizione della domanda di separazione e divorzio, è la naturale evoluzione dell’abbreviazione dei termini per la richiesta di divorzio, introdotta nel 2015 poiché si è vista
“la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione.” (Cfr. Relazione illustrativa al D. 149/22).
Se dunque la riforma mira a ottenere maggior efficienza e un miglior uso delle risorse disponibili, ognuno sa che la conclusione di una controversia giudiziale raramente coincide con la risoluzione di un conflitto umano.
È quindi di estrema importanza che la mediazione familiare, con la sua capacità di accogliere le persone e le famiglie in tutti i loro aspetti esistenziali e pratici, si diffonda sempre di più per affiancare un sistema giudiziario in affanno che, cercando di evitare sprechi e lungaggini, potrebbe altrimenti non tener conto del tempo psicologico della separazione, del tempo esistenziale necessario per la concreta riorganizzazione della vita familiare e del dolore che si genera in una separazione conflittuale.
Questi sono aspetti propriamente umani che il diritto dovrebbe essere chiamato a servire.
Non è sempre vero che si necessario molto tempo per arrivare ad una buona separazione o a un buon divorzio, ma è sempre necessario il rispetto per gli individui coinvolti nella crisi della famiglia e dei loro bisogni. Questo genere di rispetto è proprio ciò che la perentorietà dei termini processuali difficilmente può accordare.
Ecco perché è indispensabile che avvocati, mediatori familiari ed altri professionisti della crisi delle relazioni familiari imparino a collaborare, a fare rete, o, almeno, a dialogare, con competenza e professionalità affinché la riforma si compia al servizio dell’umanità e non come un mero efficientamento burocratico.