L’ascolto del minore è disciplinato dalle disposizioni degli articoli 473bis 4, 473bis 5, 473bis 6 c.p.c. introdotti con il Decreto Legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022 e mirano a salvaguardare gli interessi e a tutelare i diritti del minore nel processo civile.
Il processo minorile è cambiato nel tempo con l’evolversi della famiglia.
Un tempo, essere pater familias non era una condizione di fatto, ma di diritto. “chi aveva figli o anche figli dei figli, disponeva finché era in vita, e anche dopo che essi avessero raggiunta la maggiore età, del più ampio ed esclusivo diritto sulla loro persona e sui loro beni” (Cfr. Dusi, Della filiazione e dell’adozione, in Il diritto civile italiano, 1924, p. 118)
Questa impostazione autoritaria e patriarcale ha subito una prima, timida, modifica con la riforma del diritto di famiglia del 1975, quando l’art. 147 c.c. ha introdotto il dovere dei genitori verso i figli di mantenerli, istruirli ed educarli “tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.
In seguito, le Convenzioni di New York del 1989 e di Strasburgo del 1996, ponendosi in discontinuità con il passato, hanno affermato che il minore è titolare di diritti soggettivi e non più mero oggetto di diritto. Queste convenzioni hanno riconosciuto in particolare il diritto del minore, se capace di discernimento, di esprimere la propria opinione nei procedimenti in cui debbano essere assunte decisioni che lo riguardino.
Ed è stato quindi il diritto vivente della Corte costituzionale, con la famosa Sentenza n. 1 del 30 gennaio 2002 a stabilire l’incostituzionalità dell’art. 336 comma 2 c.c. per contrasto con gli artt. 2, 3, 31 e 111 Cost. nella parte in cui non prevedeva che, nei procedimenti ablativi o modificativi della responsabilità genitoriale, fosse sentito il minore ultra dodicenne o, se ritenuto opportuno, anche di età inferiore. Questo ha portato all’introduzione, attraverso la L. n. 54/2006 dell’art. 155sexies c.c. rubricato “Poteri del giudice e ascolto del minore”, successivamente abrogato e sostituito dagli artt. 336bis e 337octies c.c. (D. Lgs. 154/2013).
Solo nel 2012 (L. 2019/2012 c.d. riforma Bianca) è stata sostituita l’obsoleta concezione e dicitura di potestà genitoriale, con al più moderna responsabilità genitoriale.
In questo contesto si inserisce la nuova norma prevista dall’art. 473bis.6 c.p.c. che introduce una nuova disposizione per disciplinare le ipotesi delicate nella quali la conflittualità tra genitore e figlio è tale che quest’ultimo rifiuta di incontrare il primo.
Art. 473bis.6, primo comma c.p.c.: “Quando il minore rifiuta di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice procede all’ascolto senza ritardo, assume sommarie informazioni sulle cause del rifiuto e può disporre l’abbreviazione dei termini processuali.”
Come è noto, il minore ha diritto alla bi-genitorialità, la quale è però prevista a beneficio del minore e non a suo detrimento. La bi-genitorialità è intesa a soddisfare il bisogno del figlio ad essere educato, mantenuto, istruito in una famiglia che lo assista materialmente e moralmente. Pertanto, un risvolto del diritto alla bi-genitorialità è il diritto del minore a non mantenere un rapporto con il genitore e, di conseguenza, il diritto a rifiutare di incontrarlo.
Il rifiuto di un figlio ad incontrare uno od entrambi i genitori è spia di un forte disagio che può celare anche situazioni potenzialmente pericolose per il figlio. Ecco perché il legislatore ha previsto una norma ad hoc per il caso in esame affinché il giudice possa intervenire celermente (assunzione di sommarie informazioni e abbreviazione dei termini).
Allo stesso modo il Giudice procede “quando sono allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 473bis. 6, secondo comma c.p.c.) a riprova del riconoscimento da parte del Legislatore dell’importanza che hanno per il minore i rapporti significativi anche con il resto della famiglia.
“Il fondamento della norma deve essere ravvisato nell’esigenza di garantire una pronta tutela in tutti i casi in cui vi sia il rischio di compromissione del mantenimento della relazione affettiva tra il minore e il genitore o tra il minore e gli ascendenti o altri parenti di ciascun ramo genitoriale: al riguardo, il legislatore ha reputato necessario prevedere che il giudice debba procedere prontamente e personalmente all’ascolto, fatta salva la possibilità di farsi assistere da un esperto o altro ausiliario.”(Cfr. Rel. Ill. D. Lgs. 149/2022)
La Riforma non indica espressamente quali siano i provvedimenti adottabili dal Giudice in questi casi, in virtù della varietà di situazioni che potrebbero offrirsi al giudizio del Tribunale.
In conclusione, pur plaudendo ad una riforma che mette i figli sempre più al centro dell’attenzione del Giudice che deve decidere anche delle loro sorti, non posso non rilevare che i minori non sono semplicemente degli adulti in miniatura. Un pre-adolescente di 11-12 anni ha capacità, aspirazioni e competenze molto diverse da un adolescente di 13-15 anni, il quale a sua volta subisce delle trasformazioni talmente grandi e profonde da renderlo lontanissimo al se stesso di 16-18 anni.
Potrà un Giudice, per il solo fatto che lo dice la legge, affrontare con competenza e saggezza il mondo dei piccoli umani? Sarà sufficiente che si circondi, come prevede la riforma, di ausiliari ed esperti che lo aiutino?