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Come Biancaneve

Se vuoi aiutare i bambini devi prenderti cura delle loro famiglie.

Così scriveva lo psicoanalista inglese John Bowlby negli anni 50 del secolo scorso, nel suo rapporto per l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Prenderci cura della famiglia, aiutare le coppie a immaginare un futuro diverso dopo la separazione, è quello che facciamo noi, mediatori familiari.

Dei bambini ci occupiamo solo indirettamente, mettendoli al centro della riorganizzazione familiare e facendo in modo che i genitori capiscano l’importanza di offrire un ambiente sicuro e amorevole, anche durante e dopo la separazione.

Spesso le coppie che arrivano in mediazione sono così prese dal loro conflitto da “dimenticarsi” che i figli sono spettatori talvolta silenti ma mai inerti di tutto ciò che succede in famiglia.

I figli reagiscono allo sconvolgimento del loro mondo quando i genitori litigano incessantemente, quando sentono venire meno la sicurezza che i genitori, rispettandosi vicendevolmente, normalmente offrono. La reazione dei figli è diversa a seconda dell’età e del grado di conflittualità della famiglia, ma è sempre presente.

Diverso è quando alla conflittualità, che è naturale nella fine di una relazione di coppia, si sostituisce la violenza

Se sembra ovvio che i figli soffrano nella separazione conflittuale dei genitori, altrettanto ovvia dovrebbe essere la sofferenza dei più piccoli nei casi di violenza intradomestica. Purtroppo, non è sempre così.

Secondo la “Seconda Indagine Nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia”, realizzata da Terre des Hommes e CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, sotto gli auspici del Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, presentata nell’aprile 2021, la violenza nei confronti dei bambini si suddivide in cinque categorie:

  1. maltrattamento fisico
  2. maltrattamento psicologico
  3. violenza sessuale
  4. trascuratezza / patologia delle cure
  5. violenza assistita.

Di tutte le possibili forme di violenza, quella che è meno immediatamente visibile, largamente sottovalutata e quasi esclusivamente legata alla famiglia è la violenza assistita.

La violenza ha sempre degli effetti negativi anche se i bambini non la subiscono direttamente, ma vi assistono o ne percepiscono gli effetti.

È un problema largamente misconosciuto e sottovalutato, spesso dalle stesse vittime di violenza diretta

Quante volte si è sentito un genitore vittima di violenza usare frasi del tipo: “Il mio partner picchia me, ma è un genitore meraviglioso.” È davvero possibile che una persona violenta sia “un genitore meraviglioso”?

Secondo l’indagine sopra citata, rispetto ai minorenni presi in carico dai servizi sociali per maltrattamento in Italia, la violenza assistita è la seconda forma di violenza più diffusa tra bambini e adolescenti maltrattati.

Per quanto allarmante, è un dato riferito solo al

numero delle persone di minore età in carico ai Servizi Sociali e, tra questi, quanti sono seguiti dai Servizi per ragioni legate a maltrattamenti e abusi

ed è quindi, verosimilmente, sottostimato.

La violenza assistita rimane sotto traccia e troppo spesso non viene intercettata dai sistemi di monitoraggio e assistenza.

Cosa succede quando la paura che è scatenata dalla violenza assistita proviene dall’interno della famiglia stessa?

La paura scuote dalle fondamenta lo sviluppo dei piccoli. La famiglia dovrebbe essere un luogo di sicurezza e di cura. Quando non è così, le conseguenze sono gravi. Sono ancora più gravi in quanto di fronte alla violenza assistita c’è una tendenza a negarla o al minimizzarla, anche da parte di professionisti esperti: tutti, indistintamente, tendiamo a proteggerci dall’orrore insensato.

Spesso si sente dire che “i figli non lo sanno (della violenza)”, oppure “sono troppo piccoli per capire”. Non è vero. I bambini reagiscono senza avere il beneficio di un filtro razionale e ciò che “non può essere detto” e che viene espresso altrimenti, con paura, impotenza, dolore, solitudine, colpa, allerta continua e via dicendo. La realtà per i bambini di violenza assistita diventa instabile.

Ecco perché è importante che i mediatori familiari si dotino di strumenti per leggere anche la realtà della violenza assistita e per riuscire a vedere un fenomeno che è tanto nascosto, quanto diffuso, senza stereotipi né moralismi, ma guardando a ciò che è ed aiutando a costruire una cultura del rispetto e delle buone relazioni familiari che è l’unica cosa che può fare la differenza.

Sopraffatti dalla vita

Sebbene in un contesto diverso, un esempio drammatico e terribile degli effetti sui più piccoli della violenza assistita, e di come una famiglia che non riesca a soddisfare il bisogno di sicurezza, con un ambiente stabile ed emotivamente positivo, mini la stessa sopravvivenza dei figli, è dato dal caso dei bambini rifugiati in Svezia che sono affetti da Sindrome da Rassegnazione (Resignation Syndrome).

Ne parla il documentario di Netflix “Sopraffatti dalla vita”. Un film di 40 minuti che narra la storia di tre famiglie rifugiate in Svezia, i cui bambini ritraggono progressivamente dalla vita diventando dapprima meno attivi, fino a cadere in uno stato quasi catatonico, molto simile al coma.

Questi bambini, fuggiti con le famiglie dalla guerra e da situazioni drammatiche, hanno ricominciato una nuova vita nel paese europeo, solo per scoprire che la nuova, apparente, tranquillità può finire da un momento all’altro, con il diniego dell’asilo politico, della residenza permanente e con la deportazione nel paese di origine.

I bambini “respirano” la paura e l’angoscia dei genitori e non sono in grado di sopportarla. Si ritirano ad uno stato quasi letargico e via, via non rispondono più ad alcuno stimolo, nemmeno al dolore.

I bambini rifugiati tendono a risvegliarsi dalla Sindrome da Rassegnazione, quando la famiglia è serena, quando è stato concesso l’asilo politico e i genitori non hanno più paura di essere deportati e possono serenamente pensare al futuro.

E i figli vittime di violenza assistita?

Perché possano liberarsi dalla paura e guardare al futuro serenamente in un ambiente protetto e amorevole non basta interrompere la violenza, occorre un lungo lavoro di rete in cui i bambini vittime di violenza siano innanzitutto “visti”.

“La vostra bambina se ne sta sdraiata come Biancaneve perché tutto ciò che la circonda è così terribile che questo è il suo modo per proteggersi.”

Così inizia il documentario che ho citato.

Già, non dovrebbe però essere compito dei bambini quello di proteggersi, ma dei genitori. E il compito dei mediatori familiari? È quello di mettere i figli al centro, anche dotandosi di strumenti per leggere la realtà nascosta della violenza assistita e imparando a fare rete con altri professionisti delle relazioni d’aiuto.

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