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Può la mediazione dei conflitti venire in aiuto quando c’è stata violenza intradomestica?

Una delle prime azioni del mediatore familiare è valutare se la mediazione sia o non sia un percorso adatto e utile a quella coppia.

Tutti i mediandi devono essere in grado di poter contrattare, esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni. L’accordo deve essere il risultato di un percorso comune e contenere le soluzioni che entrambi hanno contribuito a creare. Perché ciò avvenga è importante che ogni persona si senta pienamente libera e in grado di negoziare alla pari.

Il lavoro del mediatore consiste nel controllare i processi e nel facilitare la comunicazione, senza entrare nel merito dei contenuti della discussione. Può aiutare i mediandi a trovare delle soluzioni alternative, ma le soluzioni saranno solo e soltanto loro.

Per questo motivo è importante, prima di iniziare il percorso di mediazione, verificare l’assenza di impedimenti personali e accertarsi che i mediandi sino in grado di negoziare liberamente.

La mediazione non è adatta quando:

  • uno dei due partner soffre di una patologia psico-affettiva che non gli permette di assumere decisioni in modo consapevole;
  • uno dei mediandi ha problemi di dipendenza o abuso di stupefacenti o alcol e non riesce ad essere astinente nemmeno durante le sedute;
  • vi siano questioni di sicurezza e di protezione dei minori (abusi nei confronti dei figli)
  • tra i due mediandi vi sia uno squilibrio di potere tale da non poter essere riequilibrato nel percorso di mediazione familiare.

Conflitto/Potere/Violenza

Secondo le teorie del conflitto, lo squilibrio di potere tra le parti è l’elemento comune a tutti i conflitti.

Nel conflitto si tende a dominare chi ha meno potere e questo meccanismo si evidenzia molto bene nelle discussioni accese: si tende ad alzare la voce, non si ascolta l’altro, si sostengono argomentazioni a riprova che si ha ragione.

L’obiettivo è vincere e per vincere si vuole far tacere la controparte, dominandola.

Questo modello di relazione è spiegato molto bene dall’antropologa e mediatrice belga Pat Patfort che lo definisce “maggiore-minore: all’interno del conflitto c’è sempre una persona che sta in una posizione maggiore e l’altra in una posizione minore. L’altro è collocato in una posizione di inferiorità a causa dei propri giudizi di valore (non è in grado di capire, non è in grado di agire ecc.).

Il modello di relazione maggiore-minore evidenziato dalla Patfort è comune a tutti noi

Alzi la mano chi non ha mai pensato in un conflitto che l’altro non capisse niente.

In modello di relazione “maggiore-minore” fa attivare dei meccanismi che possono generare violenza.  Quelli individuati da Pat Patfort sono tre: l’escalation, la catena e l’interiorizzazione.

Nell’escalation, chi è in posizione minore sentendosi aggredito aggredisce a sua volta, provando ad assumere la posizione maggiore e portare l’altro nella posizione minore. Tale dinamica porta all’aumento dell’aggressione e della violenza da parte di chi, in un dato momento, si trova nella posizione maggiore.

Ci sono casi in cui chi è in posizione minore non riesce ad assumere una posizione maggiore e scarica tutto su altre persone (triangolazione). L’esempio classico è rappresentato dal triangolo marito, moglie e suocera. Si innesca quindi una catena e la violenza non riguarda più i soli due contendenti, ma va oltre agli attori principali del confitto.

A volte chi è in posizione minore è talmente in soggezione che non riesce ad attaccare l’altro prendendosela con sé stesso: questo meccanismo è definito interiorizzazione.

Compito del mediatore è anche quello di riequilibrare il potere tra i mediandi al fine di permettere una negoziazione alla pari, non a caso quando vien “tolto” il conflitto la fase della negoziazione è fluida e proficua.

Come sostiene Lisa Parkison l’accordo è solo il “pretesto” con cui si porta la coppia in mediazione, non deve essere l’unico obiettivo e nemmeno il principale. L’obiettivo è coltivare lo spirito della mediazione dei conflitti.

Deumanizzazione della vittima

Pensando agli abusi fisici, gli attacchi violenti al corpo hanno l’obiettivo di sottomettere e annientare la vittima: si tratta di un puro esercizio di dominio e di controllo. La vittima non è più una persona, viene deumanizzata, diventando l’oggetto dei bisogni e delle paure del perpetratore. Quando questo esercizio di dominio avviene per un periodo medio lungo, la vittima non riesce ad attaccare l’altro e interiorizza.

Molte vittime di maltrattamenti familiari soffrono di un senso di impotenza generalizzato e per non sentirlo tendono a colpevolizzarsi per quello che gli sta accadendo. Una volta uscite dalle situazioni di abuso le vittime mantengono un senso di pericolo e temono di perdere il controllo. Il senso di colpa per ciò che hanno permesso che accadesse loro le aiuta a sua volta a contenere il loro senso di impotenza.

Diverse vittime soffrono di attacchi d’ansia e di manie di persecuzione. Possono presentare istinti suicida e con gli operatori riproducono dinamiche di triangolazione.

Sono come uno specchio andato in frantumi; per questo motivo è fondamentale che gli operatori siano ben preparati e competenti.

 

Modelli di mediazione familiare in casi violenza intrafamiliare: la Gran Bretagna

Lisa Parkinson è stata una dei pionieri della mediazione familiare anche in casi di violenza intradomestica. Secondo il suo approccio, inizialmente il mediatore incontra la coppia separatamente e attua uno screening, per verificare l’esistenza di agiti violenti. Quanto emerso durante l’incontro individuale rimarrà confidenziale.

Grazie alla sua esperienza, Lisa Parkinson è giunta a fare alcune distinzioni rispetto alla natura degli agiti violenti all’interno della coppia, indicando quando si può procedere con la mediazione senza il rischio di divenire strumento in mano al maltrattante e quando invece è sconsigliabile:

  • Violenza associata a reazioni psicotiche e paranoiche: la mediazione non è lo strumento da utilizzare, la coppia va indirizzata a dei servizi specialistici.
  • Percosse gravi e continue da parte del partner (maltrattamenti familiari): questi casi non sono adatti alla mediazione, va attivata subito una rete di protezione della vittima.
  • Violenza interattiva utilizzata per provocare reazioni e guadagnare il controllo: la coppia ha uno schema prestabilito di provocazione verbale e insulti reciproci che spesso conducono allo scontro fisico. Ogni partner può iniziare a provocare l’altro e la risposta violenta è volta ad affermare il proprio controllo attraverso il dominio fisico e la sopraffazione. Per queste coppie, c’è la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare ed è da valutare caso per caso.
  • Violenza da parte della donna: è in aumento in Inghilterra e in Galles, soprattutto tra le giovani donne, rappresentando quasi un quinto degli episodi di violenza domestica. Anche in questo caso, c’è la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare da valutarsi caso per caso
  • Quando la violenza è legata alla separazione: se l’agito violento è frutto dalla scelta di uno dei due coniugi di porre termine alla relazione matrimoniale la mediazione familiare è fortemente consigliata.

Modelli di mediazione familiare in casi violenza intrafamiliare: l’Austria

In Austria la criminologa e mediatrice familiare Christa Pelikan media casi di violenza intradomestica utilizzando una metodologia che permette alla vittima di uscire dal ruolo di vittima. Così facendo, una coppia di mediatori (un uomo e una donna) riescono a riequilibrare il potere restituendo alla vittima la sua capacità decisionale.

I mediatori incontrano separatamente i coniugi l’uomo incontra l’uomo la donna incontra la donna con dei colloqui individuali dove i mediandi hanno la possibilità di raccontare la loro storia, la loro sofferenza e ciò che è accaduto. Al termine dei colloqui individuali i mediatori, utilizzando la tecnica dello psicodramma di Moreno, raccontano come se fossero degli attori ciò che i coniugi hanno detto durante i colloqui individuali. Solo dopo psicodramma inizia la mediazione.

La metodologia applicata in Austria ha molte analogie con la mediazione umanistica utilizzata in ambito penale sia in Francia che Italia.

L’obiettivo delle due metodologie è di far uscire dai propri ruoli i medianti e aiutarli a vedersi nella loro umanità. Sia in Gran Bretagna che in Austria, in stretto rispetto della Direttiva Vittime 2012/29, si utilizzano i principi cardini della giustizia riparativa:

  •  l’autore del reato riconosca il fatto
  • la vittima accetta di incontrarlo
  • la riservatezza
  • il consenso alla mediazione

Conclusioni

La complessità del tema richiede attenzione, studio e confronto costruttivo,  l’obiettivo di questi scritti è dare informazioni alle persone interessate e soprattutto ai mediatori familiari.

Si raccomanda di non improvvisare e di non trasformare il primo colloquio informativo in una caccia alle streghe, ma si raccomanda di non sottovalutare il fenomeno.

Il  mediatore familiare deve conoscere il territorio in cui opera e pertanto, nel caso in cui si dovesse trovare davanti una coppia dove vi siano stati azioni che rientrino nei maltrattamenti in famiglia la prima cosa da fare è tutelare la vittima indirizzandola ai centri antiviolenza o ai servizi sociali. Si ricorda che in molte città sono attivi i CAM (centri di ascolto alle persone maltrattanti) che possono prendere in carico la situazione anche prima della denuncia da parte della vittima.

Nei casi in cui vi siano stati agiti violenti, ad esempio  delle percosse durante un litigio in seguito ad un tradimento,  si può anche procedere con la mediazione. Anzi, le sedute di mediazione possono essere lo spazio dove gli argomenti più scottanti e scatenanti possono essere trattanti in modo diverso, andando così a prevenire l’escalation.

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