La chiamano Zoom Fatigue, o affaticamento da Zoom, dal nome del software più diffuso per le riunioni online.
Con la pandemia le nostre giornate si sono molto presto riempite di incontri online: incontri personali o di affari, di formazione, aggiornamento e così via.
Forse all’inizio noi mediatori familiari siamo stati un po’ titubanti rispetto agli incontri di mediazione online, ma quando si è capito che la pandemia era arrivata per restare (almeno per un bel pezzo), molti anche tra i più scettici e i meno inclini all’uso della tecnologia, hanno capitolato.
Con le mediazioni online anch’io ho sperimentato la Zoom Fatigue.
Di solito al termine di un incontro “dal vivo” mi sento carica, gratificata, ben centrata, positiva, e via dicendo. Al contrario, al termine di ogni incontro online sento invece la necessità di rigenerarmi, di sgranchirmi le gambe, di fare qualcos’altro, di lasciare che la mia mente vaghi in silenzio.
La fatica che il mediatore prova al termine di un incontro via Zoom è connaturata al mezzo telematico ed al modo in cui noi percepiamo e processiamo le informazioni
Tralasciando le ovvie difficoltà che si incontrano quando i mediandi sono nello stesso ambiente (magari a casa) e il mediatore no, sorvolando sui telefoni che volano e le conversazioni interrotte bruscamente senza appello, quali sono le caratteristiche proprie del mezzo telematico che ci fanno sentire così stanchi?
- Innanzitutto, il nostro cervello deve continuamente cercare di colmare i vuoti tra la comunicazione verbale, che continua ad essere completa anche via video, e quella non verbale che è grandemente menomata. Buona parte delle informazioni che percepiamo e che compongono la comunicazione sono di natura non verbale. In video non si hanno sempre le parti in una buona inquadratura, con una luce sufficiente, quindi ci si concentra molto sulle parole e, forse, sulle microespressioni del volto. Questo è molto stancante.
- Non è possibile guardarsi negli occhi su Zoom. Ognuno di noi guarda l’altro in un riquadro sullo schermo e se si vuole che i nostri occhi siano inquadrati dobbiamo guardare dritti nella webcam, focalizzando un occhiolino nero, non lo sguardo di un’altra persona che è riprodotta nello schermo sottostante. Le video riunioni sono letteralmente fatte da gente che non si guarda, che bel paradosso!
- Il nostro cervello deve continuamente correggere l’incongruenza tra ciò che percepisce con la visione periferica e con la visione centrale. Con la video conferenza non riusciamo a isolarci come faremmo se guardassimo un film sullo schermo, l’avete notato?
- In genere, la nostra immagine è riprodotta sullo schermo al pari di quella degli altri partecipanti; questo genera una tendenza ad auto-osservarsi e a migliorarsi, nell’aspetto, nella postura, in una sorta di ansia da super-prestazione narcisistica che ci lascia stremati.
La nostra attenzione risulta quindi essere divisa tra i mille stimoli che ci provengono dallo schermo, inclusa la nostra stessa immagine.
Tendiamo a gestire la pluralità di stimoli e di informazioni attraverso la tecnica del multitasking
Il filosofo coreano Byung-Chul Han, docente di filosofia e studi culturali alla Universität der Künste di Berlino, nel suo libro “La società della stanchezza“, osserva che
“La tecnica del tempo e dell’attenzione definita multitasking non costituisce un progresso civilizzante (…) si tratterebbe piuttosto di un regresso.”
Il filosofo afferma che il multitasking si trova largamente utilizzato dagli animali in natura, quale dotazione indispensabile per la sopravvivenza in un ambiente selvaggio. Al contrario, le attività culturali dell’umanità, tra le quali rientra senza dubbio la mediazione, necessitano di ciò che Han chiama “attenzione contemplativa“.
Per mediare è necessaria un’attenzione profonda, una presenza completa con le parti, un ascolto non giudicante
É possibile tutto questo con la mediazione online e in questo periodo?
Sì, senz’altro, ma con un attento uso delle proprie risorse e il rispetto dei propri e degli altrui limiti. Anche con riguardo al mio lavoro e alla mediazione online devo essere per me stessa un’agente di realtà e osservare senza giudizio le mie risorse e le mie concrete possibilità, eliminando, se possibile, ogni ansia da prestazione.
La pandemia mi ha insegnato che non posso aspettarmi di fare le stesse cose di prima nello stesso modo in cui le facevo prima. So che tutto questo passerà, ma devo aspettare che passi. Avere pazienza e prendermi cura innanzitutto di me stessa e del mio lavoro è una cosa molto sensata da fare.
Oltre alla Zoom Fatigue, esiste un’altra fonte di stanchezza da tenere a bada
Si tratta della pandemic fatigue, che l’OMS definisce come la sensazione naturale di stanchezza e sfinimento dovuta a uno stato di crisi prolungato.
Sento il dovere, quando incontro i mediandi, di offrire loro uno sguardo onesto sulla situazione attuale e un contesto sicuro e accogliente. Per farlo, faccio appello a tutte mie risorse che mi sembrano meno abbondanti di un tempo. Allora, rallento.
Per tornare al filosofo Han, in un mondo dominato dall’iper-attenzione e dall’iper-attività che genera iper-stanchezza, saper rallentare è di estrema importanza.
“La facoltà di ascoltare si basa (…) su un’attenzione profonda, contemplativa, a cui l’io iperattivo non ha vie d’accesso.”
A cosa serve un mediatore frenetico, iper-efficiente che non sa ascoltare? A cosa serve camminare veloce o correre, quando ciò che occorre è librarsi in volo o danzare?