Sarebbe possibile chiedere ai giudici di avere un “occhio di riguardo” per l’aspetto emotivo dei soggetti coinvolti in una separazione? Risulta difficile pensarlo, considerato il loro ruolo direttivo e impositivo del rispetto delle leggi.
Allo stesso modo, le aule di Tribunale non sembrano essere luoghi idonei ad attuare una modalità di risoluzione positiva e costruttiva del conflitto.
Se si pensa, inoltre, che i processi durano spesso tempi infiniti, ben si comprende quanto il Foro in Italia non appaia ancora pronto a essere un ambiente tutelante del benessere delle parti.
Ecco un esempio riferito da una “reduce” di un’udienza presidenziale:
“l’udienza non era come me l’aspettavo: ha parlato solo il giudice che mi ha detto di lasciar perdere l’addebito perché non ne vale la pena. Ci ha suggerito di mediare a metà le nostre richieste per trovare un accordo e non stare in causa per anni. Dei bambini non ha neanche parlato. Sono rimasta basita: io ero rabbiosa e a fatica controllata”.
In contesti di questo tipo la Mediazione Familiare si può inserire efficacemente ritagliandosi il suo “angolo di cielo”
Questo percorso, infatti, introduce nuove modalità comunicative e risolutive dei conflitti. Inoltre, si svolge all’interno di un ambito morbido, fertile e protetto quale la stanza di mediazione.
La mediazione è studio e applicazione delle conoscenze sulle radici emotivo-relazionali della conflittualità nascente in specifiche interazioni, finalizzate a facilitarne l’auto-superamento. Il mediatore è colui che aiuta a risolvere situazioni conflittuali senza imporre valutazioni o sentenze, diagnosi o pareri (Haynes, Buzzi, 2012)
Si evince che la Mediazione Familiare porta grandi innovazioni per ciò che concerne la separazione, prima fra tutte la centralità dei contendenti nei processi decisionali, rinforzando l’autodeterminazione delle parti.
Il processo mediativo non prevede deleghe e attribuisce la responsabilità degli accordi e della via per arrivare a essi unicamente ai confliggenti. Sono solo loro ad avere la possibilità di trovare compromessi opportuni che tutelino il benessere di tutti, in primis dei figli.
In mediazione è chiaro che
il miglior risultato si ottiene quando ciascun componente del gruppo fa ciò che è meglio per se e ciò che è meglio per il gruppo stesso . (Haynes, Buzzi, 2012)
L’ottica da assumere all’interno del conflitto viene del tutto stravolta e trasformata rispetto a quella presente del campo classico della separazione
Anziché pensare al conflitto come a un evento che pone in antitesi due parti, in mediazione esso viene vissuto come una fase relazionale che coinvolge in modo circolare la famiglia. Al suo interno la coppia genitoriale ha il compito di trovare le migliori soluzioni possibili.
Tali soluzioni sono il frutto di una profonda conoscenza della propria famiglia, dei suoi ritmi, delle necessità di tutti. In un certo senso, si potrebbe parlare di “rinuncia produttiva” che porta ad avere risultati importanti sotto forma di compromesso.
Non si è più quindi all’interno di un gioco a somma zero in cui si vince o si perde, impegnati in una guerra per accaparrarsi quanto più possibile.
Il gioco che si fa è di squadra. Come in una squadra i compagni possono non trovarsi d’accordo su molte cose, tuttavia ciò che conta è portare a casa il miglior risultato possibile.
Il conflitto, quindi, si ridefinisce in un percorso di responsabilizzazione e i confliggenti imparano a permanere nel conflitto con modalità costruttive, senza viverlo come un attacco personale ma come dinamica peculiare della loro coppia.
Buzzi afferma che con la mediazione familiare si passa
da una giustizia imposta ad una giustizia negoziata (1992)
all’interno di un clima di collaborazione.
Il lato umano della separazione non va mai dimenticato
In mediazione accade che il trovarsi nella stessa stanza e mostrare, a volte, anche in modo inaspettato le emozioni, definire chiaramente i propri bisogni, riportare le proprie difficoltà e delusioni, porta a vedersi e vedere l’altro sotto l’aspetto più umano e genuino, superando la freddezza e il distacco tipici del conflitto nella separazione che porta due coniugi a divenire due estranei.
A differenza di altri percorsi, la Mediazione Familiare è un confronto amichevole in un ambiente professionale ma informale e accogliente. Rivolgersi a un mediatore significa avere intenzione di affrontare la separazione in modo pacifico (che non vuol dire semplice) senza necessariamente dover distruggere l’altro.
Il mediatore è una figura neutrale, non giudicante, facilitante e questo connota il percorso come pacifico e non belligerante.
Inoltre, la mediazione è un percorso privato che limita l’intervento esterno al minimo: non sono infatti previste figure terze che intervengono o che possono occuparsi di qualche fase della mediazione stessa.
Il percorso di Mediazione Familiare intende promuovere e facilitare la ricerca di soluzioni volte al benessere dell’individuo da parte degli stessi soggetti coinvolti nel conflitto.
Quello che il mediatore propone è di certo faticoso, perché si tratta di mettere in discussione le proprie posizioni e aprirsi all’ascolto dell’altro.
Si tratta, tuttavia, di un percorso che sostiene e promuove l’autonomia decisionale, infondendo, progressivamente, quel senso di autoefficacia fondamentale per ogni individuo.
Estratto dal lavoro di tesi di fine-corso di formazione alla mediazione familiare di Antonella Nardo,
Giudice Onorario e “Conciliatore” presso il Tribunale di Milano, Sezione IX Civile, Famiglia