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Il modello trasformativo: empowerment e riconoscimento

Gli strumenti del modello trasformativo

Pubblichiamo un estratto dell’intervento della dott.ssa Francesca Ferré che ha condotto il sesto appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Scuola Buzzi – Tracce di Luce APS ETS e dedicato alla condivisione e approfondimento dei Modelli di Mediazione Familiare presenti oggi in Italia

L’approccio trasformativo nacque in Sudamerica, intorno agli anni ’70, in seguito alle stragi in Paraguay.  Successivamente venne esportato negli Stati Uniti, dove i primi a descrivere il modello, sistematizzandolo e divulgandolo, furono Robert A. Baruch Bush e Joseph P. Folger.

Gli autori teorizzarono il concetto di schema di interazione negativa del conflitto:

“tra i vari effetti del conflitto vi è una percezione del sé e dell’altro modificata. Il conflitto genera nella maggior parte delle persone un senso di debolezza e di incapacità. La sensazione di debolezza che fa nascere l’emozione di impotenza genera una chiusura di tipo solipsistica, [«cioè a riccio» ndr], che porta una carica distruttiva, alienante, demonizzante verso l’altro”.

Demonizzante è un concetto centrale, significa disumanizzazione dell’altro. Quando siamo in conflitto con qualcuno non riusciamo più a vedere le “parti buone” di quella persona, non ricordiamo le belle esperienze vissute insieme: il primo incontro, il matrimonio, la nascita dei figli …  ricordiamo solo gli eventi negativi. Il concetto di disumanizzazione del nemico è stato anche studiato da Anna Harent per spiegare determinati accadimenti storici in filosofia:

“io smetto di pensare e agisco”.

Il mediatore trasformativo indirizza il proprio intervento sulla crisi dell’interazione tra le persone. 

Al fine di interrompere la spirale distruttiva del conflitto l’obiettivo è la relazione, non l’accordo. Come disse anche Lisa Parkinson, mediatrice familiare inglese,

“l’accordo è una scusa per portarli in mediazione, non è l’obiettivo”.

L’obiettivo è farli venire in mediazione; quello che conta è la relazione e come si trasforma nell’incontro tra le persone. L’accordo viene usato come specchietto per le allodole per poi metterlo da parte: questo è un punto nodale del modello trasformativo.

Un altro concetto molto caro ai trasformativi è che il potere non è negativo anzi, può essere una forza costruttiva. Il vero problema non è il potere ma la sua gestione. L’approccio trasformativo punta a invertire il potere, da distruttivo a rigenerante, e su questo concetto poggia anche la definizione di restorative justice (giustizia ripartiva): far si che la persona stia un po’ meglio.

Gli strumenti del mediatore trasformativo per aiutare le persone ad uscire dalla spirale negativa del conflitto sono l’empowerment e il riconoscimento.

La persona che si trova all’interno di un conflitto si sente impotente e il compito del mediatore è lavorare sull’empowerment, aiutandola così a riacquisire fiducia in se stessa, potere di autodeterminazione e consapevolezza. Lo fa attraverso un ascolto proattivo, restituendo quello che l’altro dice e mettendone in evidenza gli aspetti positivi.

L’ empowerment  fa si che la persona possa sentirsi meno impotente di fronte al conflitto divenendo più propensa ad ascoltare le ragioni dell’altro. Ciò consente il riconoscimento, che è il è il secondo strumento di lavoro del mediatore che adotta l’approccio trasformativo.

Quando si acquisisce empowerment, si verifica uno spostamento: é il corpo che cambia nella relazione con l’altro. La postura, il dialogo si modificano e il mediatore dovrà essere molto attento a questi cambiamenti che per loro natura saranno reciproci: il mio spostamento verso l’altro provocherà, contemporaneamente, lo spostamento dell’altro verso di me. Questi spostamenti devono essere visti dal mediatore perché sarà a partire da questo momento che le  persone potranno iniziare prendere le proprie decisioni, i propri accordi: senza questi due passaggi l’accordo non avrà futuro.

Bush e Folger  sostengono:

“in uno spostamento di empowerment le parti si muovono da un stato di debolezza verso uno stato di maggior forza. In uno spostamento di riconoscimento le parti si muovono da una chiusura solipsistica verso una maggiore comprensione dell’altro.”

Questi spostamenti determinano il cambiamento dell’interazione tra le persone.

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