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“In punta di piedi e con le mani in tasca”

Il modello eclettico si è creato strada facendo come modalità per affrontare la mediazione di coppie italiane. Ha una matrice statunitense, perché il primissimo impatto con la mediazione familiare l’ho avuto negli Stati Uniti.

Erano gli anni in cui studiavo per la mia tesi di laurea e allora, alla fine degli anni ’90, negli Stati Uniti la Mediazione Familiare era già diffusa. Aveva cominciato a diffondersi verso la metà degli anni ’60 attraverso situazioni sperimentali, poi approfondite, che con il tempo e grazie all’esperienza di professionisti quali John Haynes, Bush e Folger, Gary Friedman e Gregory Firestone, accademico e curatore della rivista Mediation Quarterly, si strutturarono in diversi modelli.

Altre figure importanti, come Aldo Morrone e Justin Levesque, importarono nel Canada francese la mediazione statunitense, cioè quella in lingua inglese.

 Negli Stati Uniti la mediazione nasce come risposta a una conflittualità genitoriale piuttosto accesa.

Era un momento in cui stava accadendo un po’ quello che è successo in Italia negli ultimi anni: i tribunali erano intasati e l’idea era di riuscire a evitare, almeno ad alcune coppie, il percorso giudiziale.

La mia grande fortuna è stata quella di incontrare Lenard Marlow, filosofo del diritto e autore del libro “Manuale della separazione e del divorzio”. Incappata in questo manuale trovai squisito il modo di ragionare sul “come fare” nella stanza di mediazione e sul ruolo, da un punto di vista etico,  del mediatore familiare.

Questo primo impatto ha inciso moltissimo sulla mia pratica sia come mediatrice familiare sia, in seguito, come docente. Personalmente, ritengo che l’impatto con il mediatore non debba essere come quello con un professionista super preparato e tecnico, anche quello naturalmente ci deve essere, ma in primis l’impatto deve essere con un essere umano.

Il vero apporto che può dare il mediatore familiare nella stanza di mediazione è di essere persona fra le persone.

Marlow  mi aveva colpito perché diceva:

“ quando entri nella vita della gente devi entrarci in punta di piedi e tenerti le mani in tasca” 

Quando gli chiesi che cosa volesse dire con questo mi rispose:

“non devi toccare le cose in giro, spostarle, mettere la casa come piace a te. Devi rispettare, sei un invitato e quindi tieniti le mani in tasca e vedi di non spostare nulla, di comportarti come un buon invitato (the good guest).”

Quest’uomo non aveva approcciato la mediazione dal punto di vista del professionista che cerca di agire su quel conflitto, su quella coppia, da un punto di vista tecnico, ma si era posto molte domande da un punto di vista etico.

Questo apporto etico è presente nel modello eclettico come una delle sue componenti principali. Più generalmente, questo è stato un aspetto fondamentale dei primissimi mediatori.

Se si pensa che tutto questo è cominciato verso la metà degli anni 60, si nota quanto la riflessione e la speculazione scientifica dei primi mediatori è stata attenta nel porre la volontarietà come condizione fondamentale per la mediazione familiare. Attenta che i genitori non vengano forzati a fare questo percorso ma rispettati nelle loro scelte. Perché questo?

La mia risposta me la sono data in questi anni considerando il fatto che è sempre possibile sapere quello che i mediandi raccontano, guardare molto bene come interagiscono e magari, se la lettura nasce da una formazione psicologica o psicoterapeutica, capire qualcosa di più, ma non è possibile capire tutto

Come ribadiscono sempre tutti i mediatori familiari di esperienza, la verità di quella coppia, della loro relazione, la conoscono soltanto loro così profondamente: essi sono i veri esperti della loro vita.

Crédit Photo : Shutterstock/Shutterstock

E allora perché mai un esperto dovrebbe rivolgersi a un’altra persona? Perché questi esperti sono in lite, confusi, in preda a una tempesta emotiva: sono in crisi.

Tuttavia, se uno dei due decide che la mediazione non è lo scenario ideale per gestire la propria controversia questa persona va rispettata. Se una persona dovesse decidere che non vuole nemmeno venire in mediazione nonostante la cosa sia stata caldeggiata da molte persone intorno, magari anche dal giudice della loro separazione, avrà i suoi buoni motivi che noi non conosciamo.

Nell’esperienza di  vita che ho acquisito e che non avevo quando ho iniziato, ho capito che basta un minimo sguardo per sentirsi giudicati e nel momento in cui arriva quello sguardo il rischio di omettere anche solo una parte di quella verità aumenta.

È fondamentale sentirsi a proprio agio, accanto a un professionista che rispetterà la tua riservatezza ma non solo, anche la tua persona, il tuo modo di essere, per quanto tu possa anche sembrare “strano” …

I mediandi lo sanno che se le cose non funzionano più qualcosa di sbagliato c’è stato, altrimenti le cose funzionerebbero. Magari qualcosa non è andata nel verso giusto. A volte non è chiaro cosa, non sempre si sa dove stia l’errore, ma si hanno delle urgenze. Ecco perché quando comincio la mediazione una delle prime cose che chiedo è: 

“cosa vi aspettate dalla mediazione?”

e la seconda cosa che chiedo è:

“c’è qualche cosa di urgente di cui è necessario parlare?”

Nel modello eclettico la componente etica sul fatto che sia il mediatore a dover far pulizia dentro di sé è molto forte. Il mediatore deve essere in auto osservazione, fare un lavoro personale per chiudere quegli anelli a cui potrebbe agganciarsi: gli anelli del proprio modo di essere.

Se per esempio sono una persona che non riesce a non aiutare gli altri quello è il mio anello e nel momento in cui qualcuno cerca aiuto si attaccherà a questo mio  anello. Se sono una persona che ama fare le cose in modo preciso, perché così mi sento a mio agio, allora questo sarà il mio anello e ci saranno persone che si attaccheranno confidando nella precisione.

Ciascuno di noi è come è per dei motivi. Come professionisti dobbiamo lavorare il più possibile per restare molto “puliti” e raccogliere l’altro nel pieno rispetto.

Abbiamo pubblicato un estratto dell’intervento della dott.ssa Isabella Buzzi che ha condotto il settimo e ultimo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dalla Scuola Buzzi – Tracce di Luce APS ETS e dedicato alla condivisione e approfondimento dei Modelli di Mediazione Familiare presenti oggi in Italia

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