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Progetto Cominciamo da Piccoli: un’esperienza di mediazione familiare in ambito sanitario, con famiglie di bambini emofilici

La dott.ssa Sonja Riva è responsabile per la Lombardia del progetto “Cominciamo da piccoli” (Cpì) di Fondazione Paracelso, dal 2014.

Il progetto prevede l’affiancamento di una mediatrice alla famiglia fin dal momento della diagnosi per sostenere i genitori di piccoli con emofilia informandoli ed aiutandoli ad affrontare, praticamente ed emotivamente, tutti i bisogni che insorgeranno.

L’emofilia è una patologia congenita, ereditaria e seria

Comporta il deficit di un fattore necessario alla coagulazione del sangue. Ciò può provocare emorragie in varie parti del corpo, ma soprattutto nelle articolazioni. Nel tempo, il rischio è di danneggiarle gravemente con importanti ripercussioni sulle capacità di movimento.

È una malattia che in genere, si eredita dalla mamma portatrice sana e colpisce i maschi poiché legata al cromosoma X. Nel 30% dei casi circa, però, l’emofilia è il risultato di una mutazione genetica e fa la sua comparsa in famiglia per la prima volta.

Ad oggi non esiste una cura. Grazie alle nuove terapie farmacologiche è possibile, tuttavia, “aggirare” in buona misura il deficit di fattore della coagulazione.

Gli emofilici possono così gestire maggiormente gli effetti di questa grave patologia con una qualità di vita sovrapponibile a quella di persone sane.

Il progetto Cpì  nasce nel 2010 ed è attivo su tutto il territorio italiano

Ha l’obiettivo di affiancare una mediatrice familiare ai genitori fin dal momento, spesso traumatico, della diagnosi che avviene di solito quando i bambini sono molto piccoli, a volte neonati.

La mediatrice incontra i genitori nella loro casa modulando il suo intervento in base alle esigenze della famiglia. Il suo compito consiste nel fornire informazioni sugli aspetti pratici della cura e della vita del piccolo emofilico. Inoltre, aiuta le persone coinvolte a prendere contatto con i propri vissuti e con le proprie risorse.

Lo scopo ultimo è aiutare la famiglia a integrare l’emofilia nella sua quotidianità in modo più funzionale possibile. Permetterne la gestione puntuale, senza che ciò occupi tutto lo spazio mentale ed emotivo di genitori e figli.

La mediatrice aiuta i genitori a sentire e dare parola alle loro emozioni: al dolore, alla rabbia, alla frustrazione. Facilitandone la condivisione e permettendo alla coppia di guardarle, lasciarle andare per poi tornare ad osservare la realtà, pezzettino per pezzettino, così come si presenta. La mediatrice aiuta i genitori a collocare ogni difficoltà accanto alle risorse che emergono, utili a gestirla.

Mettendo insieme i pezzi del puzzle si costruisce un’immagine che è la loro immagine. Quella di una famiglia dolorante, che ha affrontato e superato difficoltà, che ne affronterà e supererà altre avendo chiaro quali risorse hanno a disposizione.

Il lavoro della mediatrice, nonostante il setting non sia quello consueto, è sempre lo stesso: aiutare le persone a parlarsi, a comunicare. Dove per comunicazione si intende quel processo intenzionale e a due vie in cui le persone coltivano la volontà di comprendere sé stesse e l’altro, a cominciare dal nominare l’emofilia e le emozioni che suscita.

 

La scelta di avvalersi della mediazione familiare come disciplina integrante il progetto Cpì, consiste nella costatazione che le famiglie che devono far fronte a una patologia come l’emofilia trascorreranno la maggior parte del loro tempo in ospedale.

Una figura “non medicalizzata”

Com’è appunto quella del mediatore familiare, fa si che i genitori possano lavorare sulle loro dinamiche relazionali fuori dall’ambito sanitario, nel loro ambiente “naturale”.

Questo, per le famiglie, è un aspetto rassicurante poiché non sentono il loro disagio “patologico”, ma comunque importante.

Sappiamo quanto le situazioni di cambiamento e/o crisi siano per le coppie il terreno in cui conflitti vecchi e nuovi possono emergere ed alimentarsi.

Nella vita di una famiglia Cpì di questi momenti possono essercene diversi. Questo è uno dei motivi per cui, le competenze specifiche della mediatrice famigliare nella gestione del conflitto sono, in questo progetto, centrali.

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