Skip to main content

Conflittualità di coppia e Violenza intrafamigliare

Capita spesso di sentire le parole conflitto violenza utilizzate come sinonimi. È sufficiente ascoltare un telegiornale o scorrere le pagine di un quotidiano per osservare come i media, dando conto di lotte armate in atto intorno al mondo, utilizzino il termine “conflitto” per indicare “guerra”, come se l’esistenza di un contrasto conducesse necessariamente alla violenza.

Occupandomi sia di conflitto, come mediatrice familiare, sia di violenza, come operatrice di un centro antiviolenza, mi rendo conto che spesso questa sovrapposizione di concetti crea qualche equivoco con ripercussioni importanti. Provo a spiegarmi. Nella formazione professionale di ogni mediatore familiare si impara che un conflitto è una semplice contrapposizione di punti di vista, un contrasto di opinioni su una questione. Il conflitto può essere piuttosto banale, cioè non comportare, per le persone coinvolte, un carico emotivo troppo elevato e quindi i configgenti si arrabbiano poco o per nulla oppure, al contrario, può trattarsi di un conflitto talmente acceso da scuotere fortemente l’emotività delle persone coinvolte che possono provare rabbia, delusione, tristezza. A volte durante i litigi possono “volare parole grosse”, ci si può offendere reciprocamente, si possono interrompere o sospendere i rapporti con l’altro, ma questa situazione, seppur dolorosa e aspra nei toni, è conflittualità, non violenza.

Il parere del centro antiviolenza

Nel mio lavoro di operatrice in un centro antiviolenza mi capita spesso di percepire la confusione delle donne (ma anche di operatori sociosanitari e forze dell’ordine)  su questo tema. A volte le utenti mi raccontano ciò che stanno vivendo nella loro relazione di coppia chiedendomi se si tratti semplicemente di una forte conflittualità oppure di violenza intrafamigliare. In genere quando è presente violenza fisica, cioè se cominciano a “volare” schiaffi e spintoni,  l’equivoco è un po’ meno probabile, ma non sempre, poiché ciascuno ha un livello di tolleranza alla violenza frutto della propria storia personale. Più spesso il dubbio delle utenti del centro antiviolenza riguarda la differenza fra violenza psicologica e conflittualità.

E allora come cogliere la differenza fra violenza e conflitto?

È utile porsi alcune semplici domande allo scopo di esplorare due aspetti in particolare: in primo luogo è importante valutare se ci si trovi ricorrentemente nella posizione di chi subisce la volontà dell’altro, cioè se, in fin dei conti, tutto ciò che succede nella coppia (o nella famiglia) serve a tentare di “far stare bene” o “tranquillo” l’altro e pochissimo, o solo di riflesso, per il proprio benessere (“se è tranquillo lui, sono tranquilla io”). A volte ascolto frasi come “Ma sì, non insisto per fare quella cosa perché se no si arrabbia” o altre simili. Se questa è la situazione ciò significa che la dinamica ricorrente non è paritaria e cioè uno dei due occupa una posizione di sottomissione rispetto all’altro; il secondo aspetto da valutare, strettamente legato al primo, è quello del proprio stato emotivo nella relazione. Ciò significa chiarire se nel rapporto uno dei due vive uno stato di paura tale da impedire di esprimersi completamente poiché consapevoli che questo potrebbe scatenare le ire dell’altro producendo aggressività fisica o verbale con minacce di procurare un danno (anche a se stessi: “se mi lasci mi uccido”). In sintesi, se ci si rende conto che all’interno della propria coppia si ha paura di esprimersi liberamente, mentre l’altro si sente autorizzato a dire e fare tutto ciò che vuole incurante del fatto che ciò genera paura o addirittura causandola di proposito per “vincere”  le discussioni, allora si può cominciare a pensare di essere in una relazione maltrattante, e quindi di fronte ad una violenza.

Perché è importante sapere se ci si trova in una conflittualità di coppia o in una situazione di violenza?

La conflittualità è quasi sempre risolvibile – o per dirla da mediatore familiare, gestibile – curando la comunicazione, aggiustando delle modalità relazionali, approfondendo le tematiche terreno di scontro, facendo emergere i bisogni che scatenano il conflitto e cercando gli interessi comuni dei confliggenti. Quando non si riesce autonomamente può essere utile farsi aiutare da un mediatore familiare che ha  competenze utili ad aiutare la coppia a dirimere le delicate questioni conflittuali. Questo è possibile poiché i membri della coppia si trovano in una situazione di parità: sentono di potersi esprimere liberamente, non hanno paura di dire ciò di cui hanno bisogno e ciò che li infastidisce nel comportamento dell’altro. A volte capita che, nella coppia, uno dei due abbia più dimestichezza nel linguaggio, sia più aperto e comunicativo; compito del mediatore è aiutare a riequilibrare questa piccola disparità, aiutando il meno estroverso ad esprimersi, ferma restando la sua terzietà. Questo tipo di percorso non è, invece, possibile quando si è in presenza di una relazione maltrattante proprio perché le condizioni di cui sopra vengono meno. Una donna che subisce violenza domestica non si sentirà sufficientemente libera di dire ciò di cui ha bisogno e di negoziare con l’altro, seppur in presenza di un terzo neutrale ed affidabile, poiché oppressa dalla paura delle conseguenze che l’altro potrebbe infliggerle. Le donne vittime di violenza sperano spesso di avere margine di controllo sull’ira del maltrattante e modificano il loro comportamento per cercare di non scuoterne l’umore, purtroppo invano. L’unica causa della violenza domestica è il fatto che l’uomo che la agisce è violento. Il conflitto è semplicemente una scusa per esercitare il proprio potere sull’altro attraverso la violenza fisica o psicologica.   

Per concludere mi pare utile sottolineare che esiste l’aiuto più opportuno per ogni diversa situazione di difficoltà: il mediatore familiare si occupa di conflittualità in famiglia ed il centro antiviolenza aiuta le vittime di violenza domestica ad uscirne. Qualora ci si trovi in dubbio circa la propria situazione ci si può rivolgere ad un centro antiviolenza (telefonando al numero 1522 si può avere il recapito del centro più vicino), anche in forma anonima, per raccontare ciò che si sta vivendo ed avere la possibilità di prendere coscienza della propria situazione, primo passo per poterla gestire.

HAI TROVATO QUESTO ARTICOLO INTERESSANTE? CONDIVIDILO