Nel webinar proposto da Studio T.d.L. il 20 Novembre 2020, “Crescere con due mamme o con due papà – vita quotidiana, invisibilità per la legge e aiuto nella crisi”, mi sono occupata di offrire spunti di riflessione su alcuni aspetti peculiari della separazione di coppie omogenitoriali a partire dalla mia esperienza professionale come mediatrice familiare e counselor. Mi sono mossa innanzitutto dalla ripresa sintetica di alcuni aspetti giuridici fondamentali messi in luce dall’Avv. Maria Grazia Sangalli nel suo intervento.
Da pochi anni in Italia è stata regolamentata l’unione tra persone dello stesso sesso con l’introduzione dell’istituto delle Unioni civili, che però non consente il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali.
Qualora venga realizzato un progetto di genitorialità all’interno della coppia, mediante ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, il genitore biologico sarà l’unico ad essere riconosciuto giuridicamente. Da ciò deriva l’esclusione, sul piano giuridico, del co-genitore (cosiddetto genitore intenzionale). Ciò comporta una serie di conseguenze, a partire dalle micro-organizzazioni della vita quotidiana (scuola, servizi educativi, sociali, sanitari) che necessitano di una delega da parte del genitore biologico.
Inoltre, in caso di separazione della coppia omogenitoriale, il fatto che la Legge 76/2016 non riconosca diritti e i doveri in capo al genitore intenzionale comporta che esso/essa non abbia alcun diritto di mantenere rapporti continuativi con i figli, vederli e frequentarli, così come non abbia alcuno obbligo di mantenerli. Il rischio che ne deriva è che, senza una disponibilità del genitore legale, i figli vengano privati della continuità affettivo-relazionale con il genitore non biologico.
Ci troviamo dunque, in Italia, in presenza di un paradosso
Osserviamo infatti un fenomeno che esiste nella realtà e si è fatto varco in ambito sociale senza che vi sia d’altra parte una piena corrispondenza del diritto positivo che lo definisce. Molte persone, certamente non tutte, altrimenti non esisterebbe la questione, parlerebbero di esistenze “normali” che non hanno una definizione giuridica “normale”.
In ogni famiglia sufficientemente solida, il potere decisionale e la responsabilità sono nelle mani della coppia genitoriale. Questo, in Italia, vale soltanto in caso di coppia genitoriale eterosessuale. In caso di coppia omogenitoriale, è il genitore biologico l’unica persona in grado di poter consentire al genitore intenzionale di esserci, di riconoscersi e di essere riconosciuto, di legittimarsi e di essere legittimato.
È affidata unicamente al genitore biologico, non alla coppia genitoriale, la tutela della propria famiglia in relazione all’esistenza di due genitori, del loro ruolo, del loro compito di cura dei figli, della continuità affettiva e del legame.
La consapevolezza di questa responsabilità, da parte del genitore biologico, e di questa necessità di affidarsi, da parte del genitore intenzionale, sono aspetti centrali della questione.
Elementi determinanti per comprendere la storia, i desideri, i valori e i vissuti che appartengono a realtà familiari fondate su un progetto di coppia tra due persone omosessuali che si autorizzano nel darsi legittimità genitoriale e nel chiedere alla società di essere in tal senso riconosciute.
Questo, in virtù di un patto etico e morale di corresponsabilità genitoriale che, proprio perché non normato, non sancito, nasce e si sviluppa sull’unica base dell’impegno reciproco e della fiducia nella relazione di coppia.
Allora cosa poter fare quando l’amore finisce, posto che anche le relazioni d’amore omosessuali a volte possono esaurirsi, e i sentimenti che fondavano l’esistenza di una realtà familiare cambiano?
Vi è infatti il rischio che i sentimenti negativi di rabbia, delusione, sofferenza, frustrazione che, inevitabilmente, caratterizzano la fine di una storia d’amore prendano il sopravvento sul patto di reciproca tutela e protezione.
Doversi misurare con la consapevolezza di trovarsi, come famiglia, in una situazione di fragilità e mancato riconoscimento che può colpire e investire un genitore, quello intenzionale, e non l’altro, quello biologico, comporta, a maggior ragione, la necessità di gestire il conflitto.
Se il tema della co-genitorialità viene messo in discussione anche all’interno della coppia è possibile che si creino, come conseguenze in termini di potere, un gravissimo squilibrio e un alto rischio di ricattabilità.
Quale può essere il vissuto di un genitore che avverte la minaccia concreta di poter perdere il proprio ruolo, la relazione con i propri figli a seguito della fine della propria relazione di coppia?
Quale può essere il vissuto di un genitore che sente unicamente su di sé, in mancanza di qualunque disposizione di legge, il peso, la responsabilità, la necessità di dover continuare a tutelare e a includere nella propria realtà familiare la persona da cui può essersi sentita profondamente ferita e delusa a seguito della fine della relazione sentimentale? A cui, magari, della fine della relazione attribuisce la responsabilità?
Appare chiaro a questo punto quale può essere, in situazioni di questo tipo, l’enorme potenzialità della mediazione familiare, soprattutto in relazione alla necessità, all’esigenza e al desiderio di tutelare i figli
Quella di offrire un contesto capace di ristabilire una parità attraverso il riconoscimento della genitorialità di entrambe/i le/i partners, al di là dei limiti di legge.
La mediazione familiare può offrirsi come luogo di verità esistenziale nel quale poter ripercorrere la storia, l’origine di quella famiglia, dandole dignità. Può rappresentare la possibilità di mettersi nella condizione di sentirsi sostenuti, tutelati e ascoltati nell’affrontare il tema della responsabilità, individuale e reciproca, della scelta originaria di co-genitorialità. Un luogo nel quale poter continuare, pur nel conflitto, a gestire e a declinare nei fatti questa scelta.
La mediatrice/il mediatore familiare, con il presupposto e in virtù di un compito professionale insito nel ruolo stesso, è capace di lavorare in una dimensione di non giudizio.
Questa attitudine può consentire alla coppia omogenitoriale in separazione di affrontare il timore del giudizio sociale rispetto ad un esito negativo della propria relazione di coppia. Permette di fare i conti con un proto-pensiero capace di condizionare e amplificare il senso di vergogna e di fallimento provocato dal fatto di aver “doppiamente trasgredito”. Trasgressione, in primis, data dalla scelta di costruire la propria famiglia allontanandosi dalla consuetudine e dall’aspettativa sociale. Trasgressione, poi, di un patto sociale implicito, forse invisibile ma non per questo meno reale, di necessità di successo per poter essere accettati e riconosciuti come famiglia.
La mediazione familiare, infine, può risultare uno strumento fondamentale per ristabilire, laddove vi sia una fragilità genitoriale che non sappia garantirlo come priorità, il superiore interesse del minore nel sentirsi tutelato rispetto al bisogno di continuità dei legami affettivi.
I figli di una coppia che sta affrontando la separazione hanno bisogno di continuare a sentire di esistere nella propria famiglia e di appartenere alla propria famiglia, sia in senso nucleare che rispetto alla famiglia estesa, alle famiglie d’origine. Devono potersi sentire riconosciuti e sostenuti dalla comunità di cui fanno parte nell’affrontare la fatica e la sofferenza della separazione dei propri genitori. Questo è importante sempre, per tutte le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi. A maggior ragione se in assenza di tutela rispetto al proprio diritto di essere figlio.
Ecco allora la necessità, per le professioniste e per i professionisti della mediazione familiare che si propongano per l’accompagnamento di una coppia omogenitoriale in separazione, di informarsi e di formarsi per essere consapevoli di tutti i risvolti (di diritto, pratici, psicologici, relativi ai possibili vissuti) che possono caratterizzare l’esperienza dell’omogenitorialità nelle sue peculiarità.
Ecco allora la possibilità, sempre auspicabile, in tutte le situazioni in cui si offre la propria competenza professionale, di utilizzare il proprio bagaglio di saperi per mettersi di fianco a quelle persone e accompagnarle, nella loro unicità e nell’unicità della loro storia.