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La Sindrome di Alienazione Genitoriale o PAS e i possibili contributi della Mediazione Familiare

Quando si parla di Sindrome di Alienazione Genitoriale non è semplice darne una definizione univoca. Per alcuni, infatti, anche l’utilizzo del termine sindrome non sarebbe del tutto appropriato, a causa dei suoi maggiori rimandi a un disturbo psichico individuale, circoscritto.

In generale, vi è concordanza nel ritenerla un importante fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicologico ed emotivo di un figlio. Quasi sempre si tratta del più fragile, psicologicamente ed emotivamente, e con una età compresa tra i 6 e i 18 anni.

È il risultato di una separazione e, contrariamente a quanto spesso si pensa, non ha nulla a che fare con qualsivoglia forma di abuso o noncuranza verso la prole. La sua origine sarebbe piuttosto da ricercare nel così detto “dramma della moralità”.

Rappresenterebbe una materiale dissociazione di un figlio dal genitore che ha causato, o si ritiene abbia causato, una situazione eclatante ed eticamente riprovevole che ha portato i genitori a separarsi.

Affinché si possa parlare di PAS è necessaria l’esistenza di tre fattori: allineamento, indottrinamento e un genitore bersaglio che accetta l’allontanamento del figlio.

Il genitore ferito, provando nei confronti del partner una personale e profonda indignazione, tende a esercitare sul figlio una sorta di condizionamento (indottrinamento).

I sentimenti del figlio verso il genitore bersaglio rischiano di essere manomessi, i ricordi positivi annullati e il bambino si ritrova ad elaborare messaggi indotti (allineamento).

Il rischio è quello di una frattura tra il passato e il presente: il genitore, una volta amato e positivo, diventa negativo e a volte addirittura “pericoloso”. Potrebbe rifiutare rigidamente ogni rapporto con lui, senza, in realtà, alcun valido motivo.

Metaforicamente il bambino si ritrova tra due fuochi: se deciderà di mantenere un rapporto d’affetto con il genitore bersaglio, la relazione con il genitore manipolante potrebbe risentirne.

La situazione che si viene a creare può essere schematizzata come segue:

  • il genitore programmante è convinto di proteggere il figlio da un genitore ritenuto non idoneo moralmente (ma non abusante o violento o noncurante), nei confronti del quale prova un forte biasimo e talvolta una paura quasi ossessiva, ritenendolo, nella sua mente, potenzialmente pericoloso per il figlio
  • il figlio alienante, non potendo alla lunga restare insensibile alla sofferenza del genitore programmante, con cui convive, finisce per costruirsi un’immagine, sentimenti e credenze negativi del genitore bersaglio. Schierandosi con il genitore convivente utilizza termini non appartenenti ad un repertorio adeguato alla sua età, quindi verosimilmente acquisiti dal genitore manipolante
  • il genitore alienato, dal canto suo, si trova bersagliato dalla rabbia e dalle accuse del figlio e se ne allontana con dolore. Il concreto rischio, però, è che tale suo atteggiamento possa essere interpretato dal figlio come conferma delle sue convinzioni negative su di lui.

La ripresa dei contatti tra genitore alienato e figlio segnerà l’inizio della fine della PAS.

Effetti della PAS

Gli esiti possono dipendere dalla severità e durata delle tecniche di “programmazione”, nonché dall’età del figlio.

Ciò che, comunque, si cagiona a quest’ultimo è sempre una grave amputazione di una parte di sé (ognuno di noi è metà mamma e metà papà), con rischiose ripercussioni negative, che segneranno la sua vita.

A lungo termine,  potrebbero sorgere disturbi dell’identità, maggiore vulnerabilità alle perdite e ai cambiamenti, regressioni a vari livelli, manicheismo (tendenza a vedere tutto bianco o nero), ingestibile dissonanza tra realtà e ricordo indotto. E ancora, creazione di genitori immaginari in sostituzione del genitore perduto, maggiore inclinazione ai sentimenti di ostilità (anche verso i fratelli e/o le sorelle che sono rimasti legati al genitore alienato) e maggiore predisposizione alla manipolazione.

Se un ragazzo alienante ricostruisce l’accaduto e si rende conto di essere stato condizionato potrebbe reagire escludendo con biasimo anche il genitore programmante, rischiando così una seconda, incolmabile, perdita.

Finisce sovente per auto-colpevolizzarsi e mettere in atto strategie difensive autodistruttive e autolesive. Inevitabili anche: rabbia, dolore, bassa autostima, sfiducia in sé stesso e negli altri, insicurezza.   

In questi casi, diventa alquanto difficile ricucire il rapporto con quello che è stato il genitore alienato, che ineluttabilmente continuerà ad essere percepito come un estraneo per via della rimozione del ricordo del tempo insieme, andato perduto.

Incolmabile la sensazione di vuoto e solitudine del figlio.

Cosa fare?

Bisogna intervenire su tutte le persone implicate, avvalendosi di professionisti che siano a proprio agio con le tecniche speciali necessarie per trattare con successo la PAS.

Riteniamo sia un errore “criminalizzare” il genitore convivente, per esempio allontanando il figlio alienante dalla sua cura. Ciò non solo procurerà un ulteriore trauma proprio al figlio, ma non certo aiuterà il genitore programmante a capire e a ricordare quanto di positivo possa ancora fare come genitore chi è stato alienato.

Occorrerebbe invece indagare, in maniera scrupolosa, sull’effettiva situazione di quella famiglia. Sulle reali ragioni dell’ostilità di un figlio verso un genitore, sì da poter, poi, individuare la strada più appropriata da percorrere.

A tutela del minore e del suo diritto alla bigenitoralità, sarebbe auspicabile che le varie figure professionali coinvolte lavorassero sinergicamente sin da subito per ricostruire i rapporti familiari.

Il percorso di Mediazione Familiare rappresenta un efficace strumento a salvaguardia del diritto di ogni minore ad una crescita equilibrata e serena, con la presenza di entrambi i genitori nella propria vita.

Per sua natura, infatti, è finalizzato alla riduzione della conflittualità di coppia e alla ristrutturazione dei sentimenti e delle relazioni familiari. Accoglie nell’ascolto e poi sollecita ad andare oltre i rancori e le difficoltà relazionali personali, per mettere al centro chi ha diritto alla presenza affettiva ed effettiva di entrambi: il minore.

La mediazione familiare è di sicuro una preziosa opportunità nell’interesse prioritario dei figli perché si vive male con un genitore morto nel cuore.

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