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La Mediazione Familiare: questa misteriosa sconosciuta

A proposito di quel peculiare percorso di risoluzione alternativa delle controversie che è la Mediazione Familiare sono state spese tante parole.

A oggi, mi rendo conto, che a molte persone non è ancora ben chiaro cosa cambia tra rivolgersi ad un avvocato per affrontare una crisi (coniugale, di coppia, genitoriale o familiare), e rivolgersi ad un mediatore familiare.

Cerchiamo di fare un po’ più di chiarezza.

Perché andare dall’avvocato

Come sappiamo e come, ad ogni modo, suggerisce la stessa etimologia del termine (dal latino advocatus, participio passato del verbo advocare: “chiamare a sé, chiamare in aiuto”) l’avvocato è colui che viene “chiamato a propria difesa”.

Pertanto, ci si rivolge ad un avvocato quando si ritiene di avere delle personali ragioni (o diritti che dir si voglia) da far valere a discapito di un altro soggetto, la c.d. “controparte”. A tal fine, gli si delega la scelta circa la soluzione “ideale” alla problematica portata. 

L’avvocato, quale esperto di diritto, esamina la questione dal punto di vista strettamente legale e, alla luce delle  c.d. “prove”, ipotizza andamento ed esito dell’eventuale causa.

Dunque, imbastisce una mirata difesain un’ottica win-lose (vincitore-perdente). Dopodiché ogni definitiva decisione nel merito è demandata al Giudice.

Lo stesso, accade laddove entrambe le parti in conflitto decidano di rivolgersi ad un unico legale. Difatti, anche in questo caso, la controversia viene risolta con una decisione fondamentalmente dettata dal consiglio esterno dell’avvocato.

Perché andare dal Mediatore Familiare

Il Mediatore Familiare, ed in special modo ove operante secondo il nostro modello ESBI, è un esperto della conflittualità familiare a 360° gradi.  

Per sua stessa formazione teorico-pratica,  accompagna le persone – senza mai sostituirsi loro – nella ponderata negoziazione di tutti gli aspetti conflittuali  legati alla crisi che stanno vivendo (coniugale, di coppia, genitoriale o familiare). 

Le aiuta a superare le loro iniziali posizioni di parte attraverso (ed è questa la vera chiave di volta) la emersione delle sottese emozioni (delusione, rabbia, tradimento, paura, vendetta, etc.) e dei reali bisogni e valori che vi si celano dietro. 

La partecipazione di tutti i soggetti adulti direttamente interessati è imprescindibile e il mediatore ha cura di mantenere lo sguardo dei mediandi  sempre rivolto al futuro. Si astiene dal proporre soluzioni, valutazioni, sentenze, diagnosi o pareri.  

Compito del Mediatore Familiare è, difatti, quello di aiutarli – attraverso l’uso di una serie di mirate tecniche di mediazione – ad affrontare in prima persona il conflitto familiare, che è e resta loro.  

In quest’ottica win-win (vincitore-vincitore), i mediandi superano il conflitto sulla base della loro volontà e consapevoli delle loro effettive risorse e limiti, nel rispetto dei bisogni e dei valori di tutti coloro che ne sono coinvolti.

Il risultato sarà un “verbale degli accordi raggiunti in mediazione”, con valore di scrittura privata, da inserire, all’occorrenza, nei documenti legali formali. 

Questo documento sarà sì presentato in Tribunale necessariamente attraverso un legale, per la approvazione, ma senza conferimento a quest’ultimo di alcun potere decisionale sulle varie questioni pratiche che riguardano la vita dei mediandi.

Alla fin fine, dunque, cosa fa la differenza tra andare direttamente da un avvocato o andare prima da un Mediatore Familiare?

La volontà di conservare per sé o cedere ad altri il controllo della propria vita.

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