There is a crack in everything. That’s how the light gets in
Anthem – Leonard Cohen
Solo quando ci rompiamo, scopriamo di cosa siamo fatti
Ziad K. Abdelnour
La mediazione familiare è, per mia esperienza personale, innanzitutto uno spazio-tempo per riparare e rigenerare relazioni: l’arte giapponese del Kintsugi applicato alle persone, quando si sentono, in qualche modo, “a pezzi”.
In fondo, una via su cui tutti camminiamo durante l’intera esistenza, inevitabilmente abitata dal conflitto. Una via in cui so-stare nel mezzo, tra cielo e terra, da esseri viventi “impastati” di comune umanità.
Kintsugi (金継ぎ) significa “riparare con l’oro” e rappresenta l’arte giapponese dell’aggiustare le cose rotte impreziosendole, invece di buttarle. Il termine deriva dall’unione delle parole giapponesi “kin (金)”, che significa oro e “tsugi (継ぎ)” che significa riunire, ricongiungere per comprendere ed imparare che è dalle crepe (e dalle ferite) che entra la luce.
Come forma d’arte, il Kintsugi iniziò ad evolversi nel XV secolo, durante il periodo Muromachi (1336 – 1573). Una leggenda narra che lo Shogun (il più alto titolo militare possibile), Ashikaga Yoshimasa, commissionò ad alcuni artigiani la riparazione della sua tazza da tè preferita che si era rotta, pressoché irrimediabilmente, in modo che fosse ancora utilizzabile e degna della sua carica.
Per riuscire nell’impresa, gli artigiani utilizzarono lacca naturale mescolata con polvere d’oro, ottenendo un risultato strepitoso dal punto di vista artistico e artigianale (nonché funzionale).
La filosofia Wabi Sabi (侘寂), ovvero la bellezza dell’imperfezione, impermanente e incompleta, fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose
Le ferite, quelle sul corpo e quelle nell’anima, ci ricordano un dolore subito. Invece di nasconderle, la pratica Kintsugi insegna a esaltare le crepe che ci rendono unici e preziosi, oltre che resilienti nella vita.
La capacità di rialzarsi sempre, più forti di prima, e andare avanti nella vita, nonostante gli ostacoli.
Accettare serenamente che la vita è effimera e avere la capacità di lasciar correre, liberare la mente dalla ricerca della perfezione che non esiste, poiché è dalle sconfitte e dall’imperfezione che si manifesta la bellezza, nello stesso modo in cui l’oro impreziosisce i vasi rotti.
In giapponese esiste una parola molto adatta a questo concetto che, tuttavia, non ha una traduzione precisa in italiano: shouganai (しょうがない). Può essere utilizzata in vari modi, ma il significato per me più adatto è quello di accettare qualcosa che, per quanto faticoso o difficile, non possiamo evitare.
Ancora una volta, accettare il “danno” per quello che è, risolverlo nel miglior modo possibile e soprattutto, accoglierlo come una preziosa lezione di vita che renderà le nostre crepe ancora più pregiate, uniche, rare.
Tale metafora è descritta sapientemente da Massimo Recalcati in relazione all’esperienza del perdono nel suo libro “Mantieni il bacio”:
“Nell’arte del Kintsugi vediamo in atto una straordinaria operazione: il vaso è ancora quello di prima anche se non è più quello di prima. Ha cambiato immagine […] Nonostante il trauma della sua rottura, grazie alle mani sapienti del vecchio artigiano è divenuto l’occasione per una nuova creazione. I punti di rottura sono stati dipinti d’oro; le cicatrici sono divenute poesie. In questo senso l’esperienza del perdono è un’esperienza di resurrezione. L’amore che pareva morto, finito, gettato nella polvere, senza speranza, ritorna in vita, ricomincia, riparte”.
Il processo della pratica Kintsugi
Sia nella riparazione degli oggetti che nella vita, è molto lungo; si divide in fasi e necessita di molta calma, precisione e pazienza:
- rottura di un oggetto o, nella vita, uno shock, una ferita subita, fisica ma soprattutto mentale
- assemblamento, ossia raccogliere tutti i pezzi, per poterli far tornare uniti
- riparazione, che non avviene cancellando le crepe, ma riconoscendole, capire da cosa sono causate e come fare per ripartire da esse per stare meglio
- attesa, perché il cambiamento e la riparazione non avvengono in un attimo, specialmente quando si parla di aspetti della vita di una persona. Non bisogna avere fretta, così come si attende che la colla e la vernice aderiscano ai cocci di un vaso
- esaltazione, perché le ferite non vanno nascoste, ma mostrate con fierezza, ora che sono riparate sono belle più che mai
Jacqueline Morineau ha affermato:
“Non c’è felicità senza pace, la mediazione è una via di felicità. Già nello scrivere mi commuovo, perché mi rendo conto della delicatezza e della fragilità dei fatti umani che si incontrano nelle relazioni personali, di coppia, familiari, lavorative, sociali”.
Lo spazio di mediazione familiare
Grazie all’accompagnamento di un terzo mediatore qualificato, è un’opportunità per raccontare il proprio punto di vista e il proprio mondo emotivo. Un’occasione per dare e ricevere ascolto, ri-attivare la comunicazione e trasformare la relazione.
La mediazione familiare, come il Kintsugi, è una lezione di vita. Ci insegna ad abbracciare le nostre ferite anziché rimuoverle, a trasformarle in punti di forza “ricoprendole d’oro” poiché esse rappresentano una testimonianza del nostro passato e delle prove superate, in un percorso che ci narra di storie di rinascita, di resilienza e di esperienze che possono alimentare la crescita personale.
In genere si tende a pensare che la soluzione al dolore e all’ansia sia altrove, ma è nel dolore la soluzione del dolore (e, nell’ansia, la soluzione dell’ansia). Sentendolo, abitandolo, assaporandolo, non è più estraneo, ma a poco a poco un ospite scomodo, irruente, tempestoso e infine un amante e, dopo la fine, un pezzo di noi.
Tutto ciò che sentiamo è legittimo sentirlo, è vero, e contiene grandi possibilità di recupero e di fertilità.
Perché dovremmo buttare via qualcosa senza alcun senso di riconoscimento?
Solo un metodo che ci insegna a sentire, a farci capire che non ci sono vie di fuga né scorciatoie, ad accogliere l’inaccettabile, a ospitarlo lasciandocene scuotere forte, solo questo ci permetterà di far posto alla paura dentro di noi, a renderla sostenibile.
La singola sensazione di paura, in realtà, non può durare che al massimo due o tre minuti, poi cambia.
Dovremmo imparare a saper stare nel flusso, perché se scappiamo dalle sensazioni scomode, allora ci sfuggiranno anche tutte le altre sfumature dell’essere al mondo.