Skip to main content
principio della bigenitorialità

Genitori sempre e per sempre

Ci sono cose che per tutta la vita, forse perfino quando moriranno, sono i genitori a fare, punto.

Il principio della bigenitorialità (o genitorialità condivisa) è ormai divenuto assunto di natura etica.

Il Codice Civile lo definisce come il diritto del figlio minore di

mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Che un figlio cresca accanto a entrambi i genitori è naturale e quasi “scontato” nelle famiglie unite, dove genitori e figli convivono e condividono una quotidianità.

Il problema – e da qui l’esigenza di una disposizione di legge – nasce allorquando i genitori cessino di convivere e la rottura della loro relazione possa avere riverberi negativi sul rapporto con i figli.

Il principio normativo innanzi richiamato è inserito nel Capo II del Codice Civile dedicato alla disciplina dell’esercizio della responsabilità genitoriale (in passato definita “potestà genitoriale”) a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili (divorzio), annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio.

La separazione è un momento di grande cambiamento e conduce a inevitabili e importanti stravolgimenti emotivi, organizzativi, comunicativi

Dolore, sofferenza e fatica generano incomprensioni e momenti di forte tensione tra gli adulti, in cui a prevalere è spesso la sfera emotiva.

I bambini si sentono spettatori invisibili e strumenti agiti nelle dinamiche coniugali spesso conflittuali.

Per arginare relazioni tanto disfunzionali è fondamentale che i genitori condividano un progetto di bigenitorialita’ e che il “ponte parentale” sia sempre aperto ed alimentato in funzione del prioritario benessere del bambino.

In dottrina, come in giurisprudenza, il principio della bigenitorialità non comporta, tuttavia, la suddivisione matematica dei tempi (c.d. “tempi paritetici”) di frequentazione del figlio con ciascun genitore.

Deve essere correttamente inteso come il diritto ad una presenza significativa e di qualità di ciascun genitore nella vita del bambino. Idonea a garantire una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive sia con la mamma sia con il papà. Che tenga conto delle effettive e complessive risorse e esigenze di vita di ogni specifica “famiglia separata”, sempre mantenendo il bambino al centro.

Perché la violenza è un contagio. E la famiglia ha maglie larghissime, così che l’odio, e l’amore, e la viltà, e ogni emozione che germoglia nella madre, e poi nel padre, passa ai figli, e vi si insedia senza antidoto né soluzione

Viviamo immersi in una cultura che definisce il conflitto come un evento patologico

Manca la consapevolezza che ciò che davvero conta non è l’esistenza del conflitto in sé bensì le modalità di gestione dello stesso.

I tratti più affascinanti della mediazione familiare sono proprio:

  • la sua carica innovativa,
  • il respiro etico che la sostiene e che essa stessa può contribuire a diffondere,
  • il suo potenziale eversivo rispetto ai rigidi stereotipi legati alla separazione tra genitori, tuttora purtroppo diffusi.

Elementi chiave della mediazione familiare sono il conflitto (inteso come risorsa per il cambiamento), l’intelligenza emotiva, l’empatia e la resilienza (ossia capacità di adattamento alle situazioni complesse e loro trasformazione in occasioni di crescita).

Si tratta di un intenso lavoro in team

Genitori e mediatore, ciascuno con le proprie risorse e competenze, si muovono e si immergono nelle insidiose “sabbie mobili” dello scontro legato alla separazione. In cerca di soluzioni nuove e creative, tali da consentire di gestire al meglio – e non necessariamente di risolvere – il conflitto. Intervenendo su ogni situazione familiare specifica nella sua unicità e specialità.

In questo percorso, la mitezza è elevata a principio generale.

La mediazione familiare non rinuncia al conflitto, ma lo rivisita come risorsa. 

Aiuta i genitori a “spostare” l’oggetto del confronto. Li invita ad allontanarsi dalle rispettive rigide posizioni e a scoprire i bisogni e gli interessi di ciascuno che, talvolta, coincidono (il benessere dei figli, innanzitutto).

Una delle principali finalità della mediazione familiare è, infatti, riuscire a consolidare e rendere efficace la comunicazione tra genitori.

Sono proprio le modalità di comunicazione sbagliate a originare comportamenti conflittuali che degenerano in assenza di ascolto, rabbia, ostilità, rivendicazioni, livore cronico.

In mediazione i genitori imparano ad ascoltarsi. A “sentirsi” a vicenda, al fine di raggiungere in autonomia decisioni comuni che tengano in considerazione i bisogni, i sentimenti, i desideri dei figli. Lasciando andare la relazione di coppia e scoprendosi “genitori insieme sempre”.

HAI TROVATO QUESTO ARTICOLO INTERESSANTE? CONDIVIDILO