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Emozioni e distanze: una diversa visione nella cultura orientale (segue)

Riprendiamo l’articolo pubblicato settimana scorsa continuando ad addentrarci nella tanto affascinante cultura giapponese.

Lo sviluppo dell’autostima rappresenta un lascito che ci portiamo dietro, talvolta difficile da sanare. In parte, è alimentato dalle dinamiche familiari nelle quali siamo cresciuti e siamo stati educati. Ciononostante, siamo spinti a intraprendere un cammino di ricerca e di riparazione di questa infanzia.

Sull’autostima si lavora giorno dopo giorno e i Giapponesi, per farlo, si rivolgono spesso alla propria comunità.  Ne hanno cura e cercano sempre il beneficio comune e non solo quello personale. Quando sono raffreddati, ad esempio, per evitare di contagiare gli altri escono sempre di casa con una mascherina.

I giapponesi si identificano con il gruppo, hanno un  sociale molto solido, molto definito,  e ciò gli è stato molto utile.

Accettando la propria vulnerabilità, manifestano una forma di coraggio che avvia il meccanismo della sana arte della resilienza. Tale processo li spinge a manenere sempre la prospettiva e salvaguardare la voglia di vivere. 

Dopo i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, per esempio, nella lingua giapponese si è diffusa l’espressione “Shikata ga nai” che significa non c’è rimedio, non c’è alternativa. Questa espressione, però, si discosta dall’ accezione “rassegnarsi”, perché per “scorrere” é opportuno accettare senza opporre resistenza.

Shoma Morita, psichiatra giapponese, è l’ideatore nel 1919 della terapia Morita, una forma di psicoterapia fortemente influenzata dal Buddhismo e dalla filosofia Zen. Diversamente dal paradigma occidentale, volto a modificare le emozioni, la terapia Morita configura le emozioni come una risposta naturale, incontrollabile agli eventi della vita. 

Esse vanno dunque accettate per quello che sono. Tentare di modificarle può peggiorare soltanto il nostro stato emotivo, nell’eventualità in cui si fallisca.

Bisogna dunque accettare il proprio stato d’animo come un aspetto della vita, senza tentare di mutarlo o combatterlo, e riconoscere l’azione dall’emozione che la accompagna. 

La terapia è quindi centrata sull’azione, la quale acquisisce ruolo primario rispetto allo stato d’animo e insegna ad accettare i sentimenti, poiché attraverso l’azione si modificheranno autonomamente.

È il compimento dell’azione, degli obiettivi che portano benessere, producendo così effetto sul proprio stato emotivo. È l’agire che migliora il vissuto emotivo e non il contrario

Bisogna avere la consapevolezza delle proprie esperienze interne, della sofferenza, della frustrazione, della paura, dell’ansia e una volta che la persona entra in contatto con la propria realtà personale può promuovere il recupero. Riposo, disciplina, alimentazione corretta e meditazione. 

Meditazione vuol dire praticare l’introspezione. Bisogna essere in grado di vedere in prospettiva la storia della propria vita vita. Le proprie storie personali devono essere viste come eventi che si verificano anche nella natura stessa. La vita è un continuo scorrere, come il flusso di un fiume che non si ferma mai.

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