Ogni giorno guardo mia sorella e mi sento molto fortunata.
E non solo perché mi ha resa zia di un fantastico nipotino. Ma perché credo nella “sorellanza”, in quel legame tanto casuale, quanto esclusivo e indissolubile, che va ben oltre l’amicizia, malgrado si usi dire “per me sei come un fratello/sorella” per esprimere a un amico/a il nostro affetto e l’intensità del nostro legame.
Sarà che sono cresciuta a pane e “Piccole Donne”, che ho da poco riletto …
Le idilliache sorelle March non esistono, certo, ma non si può non riconoscere che il patrimonio di storie e vicissitudini familiari che inevitabilmente le sorelle di sangue condividono renda, comunque sia, il loro vincolo d’affetto ineguagliabile. Talmente unico e intimo da consentire tra loro una comunicazione autentica, onesta e quasi “giudicante” (elemento questo che, invece, potrebbe mettere fine all’amicizia con la best friend).
Per anni la nostra differenza di età mi ha fatta sentire e sembrare la Meg di casa, il punto di riferimento della mia sorellina in maniera unidirezionale.
Invece, il crescere restandoci accanto ha fatto sì che tra noi si sviluppasse un forte senso di empatia, complicità e reciprocità, che ha reso tale anche lei per me, ancora oggi che siamo entrambe adulte.
“Non c’è consolazione più confortante di quella che si trova tra le braccia di una sorella”
Alice Walker
Ma perché questo articolo?
Perché paradossalmente per lavoro mi trovo spessissimo a gestire realtà ben diverse, fatte di rapporti conflittuali tra sorelle/fratelli, che sono arrivati/e persino alla decisione di non parlarsi né vedersi più, recidendo quel loro legame naturale, il cui taglio finisce poi però immancabilmente per lasciare un profondo senso di vuoto e una grande amarezza.
Certo, non che sia mancato “prendersi per i capelli” tra me e mia sorella stile “Anastasia e Genoveffa”, ma lì astio, rancori, recriminazioni, gelosie, competizioni, finanche odio, la fanno da padrone ancora in età adulta, perpetuando ad infinitum il dolore di sentirsi distanti, rivali, non sostenuti, non compresi.
I motivi più frequenti di conflitto riguardano apparentemente questioni economiche, come l’eredita, e/o l’assistenza da dare a genitori non più autosufficienti.
In verità, però, le ostilità di rado insorgono da adulti; sono piuttosto la prosecuzione o la riattivazione di vecchie ferite, la cui origine va cercata all’interno della più ampia cornice delle dinamiche familiari.
È, quindi, dalla ricostruzione della storia familiare di quelle sorelle/fratelli che si deve partire per poi aiutarle/i a risolvere, con reciproca soddisfazione, le loro questioni pratiche.
E, a parere mio, non esiste setting più adeguato a tale fine che quello della mediazione in famiglia o giustappunto dei conflitti familiari. Uno strumento di gestione costruttiva del conflitto fraterno, capace di evolverlo in un confronto positivo tra adulti, aiutati a spogliarsi dei panni di figli, e, pertanto, in una preziosa opportunità anche di riavvicinamento tra consanguinei che, è vero non si scelgono, ma sono e restano tali per sempre.
Del resto, come diceva Pam Brown
“Gli amici cambiano, gli innamorati se ne vanno, le sorelle sono eterne”.